Comparato - CSDDL.it - Centro Studi Diritto Dei Lavori Centro Studi Diritto dei Lavori - Bisceglie - A cura dell'Avv. Antonio Belsito e del Prof. Gaetano Veneto http://www.csddl.it/csddl/comparato/ Fri, 12 Mar 2021 13:03:39 +0000 Joomla! 1.5 - Open Source Content Management it-it Reformas legales y diseño de un nuevo modelo http://www.csddl.it/csddl/comparato/reformas-legales-y-diseno-de-un-nuevo-modelo.html http://www.csddl.it/csddl/comparato/reformas-legales-y-diseno-de-un-nuevo-modelo.html Reformas legales y diseño de un nuevo modelo de relaciones laborales 

di Fernando Fita Ortega*    

 

1.    Crisis y cambios en la legislación laboral española en los últimos tres años (2010-2013) 

El impacto de la globalización de la economía en la competitividad de las empresas ha sido el leitmotiv de reformas experimentadas en el derecho del trabajo español en los últimos veinte años. De este modo, a partir de finales de 1993, y fundamentalmente en 1994, se produjeron las primeras reformas de trascendencia en la legislación laboral con el fin de hacerla más flexible y adaptable a las necesidades de las empresas[1], de modo que su finalidad original –tutelar a los empleados contra los abusos de sus empresarios- comenzó de forma clara y evidente a no ser el único objetivo de dicha legislación. De hecho, mientras que las primeras normas aparecidas de forma aislada sobre las condiciones de trabajo, fueron establecidas para otorgar cierto nivel de tutela a los trabajadores[2], cuando se adoptó una legislación más completa no sólo se tomó en cuenta este objetivo, sino que también se atendieron las necesidades derivadas de los requisitos organizativos de las empresas y de su interés económico[3]

 

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info@codexa.it (di Fernando Fita Ortega) Comparato Mon, 21 Oct 2013 18:07:26 +0000
La riforma del mercato del lavoro in Spagna http://www.csddl.it/csddl/comparato/la-riforma-del-mercato-del-lavoro-in-spagna.html http://www.csddl.it/csddl/comparato/la-riforma-del-mercato-del-lavoro-in-spagna.html La riforma del mercato del lavoro in Spagna

Il Consiglio dei Ministri spagnolo ha approvato lo scorso 10 febbraio il Regio decreto legge contenente "Misure urgenti per la riforma del mercato del lavoro". Gli obiettivi della presente riforma della legislazione del lavoro, secondo l'Esposizione delle Motivazioni del Regio decreto legge, sono i seguenti: dare impulso alla creazione di occupazione di qualità, in grado di mettere fine al dualismo del mercato del lavoro; stabilire meccanismi effettivi di flessibilità interna nelle aziende affinché il licenziamento sia l'ultima alternativa dell'imprenditore; modernizzare la contrattazione collettiva per avvicinarla alle necessità delle aziende e dei lavoratori; riconoscere un nuovo diritto individuale dei lavoratori alla formazione; introdurre misure rivolte specificamente ai soggetti più colpiti dalla disoccupazione: giovani e disoccupati di lungo periodoIncoraggiare l'insieme di sforzi di tutti coloro che possano collaborare nella ricerca di un posto di lavoro; sostenere i lavoratori autonomi e la Piccola e Media Impresa dando loro una maggiore flessibilità e capacità di adattamento; rafforzare i meccanismi di controllo e prevenzione per evitare il trattamento discriminatorio dei lavoratori e combattere l'assenteismo ingiustificato.

Le misure più significative contenute nel Regio decreto legge sono le seguenti:

1. Estensione dell'attività delle Agenzie di lavoro interinale

Le Agenzie di Lavoro Interinale sono autorizzate in Spagna dal 1994, benché la loro attività doveva limitarsi finora alla cessione di lavoratori temporanei alle imprese per lavori o mansioni limitate nel tempo.Dalla riforma approvata nel 2010, si autorizza altresì la esistenza di Agenzie private di collocamento con fini di lucro, che avevano la facoltà d'intervenire in tutti i tipi di contratti di lavoro. Al fine di sommare gli sforzi urgenti di tutti coloro che possono collaborare nella ricerca di un posto di lavoro, le Agenzie di Lavoro Interinale, che contano su un'ampia rete di succursali distribuite in tutto il territorio e con consolidata esperienza nel mercato del lavoro, sono autorizzate a operare anche come Agenzie Private di Collocamento.In nessun caso le Agenzie di Lavoro Interinale o le Agenzie Private di Collocamento potranno farsi pagare dai lavoratori per i loro servizi.

2. Diritto alla Formazione

Viene riconosciuto ai lavoratori con più di un anno di anzianità nell'azienda il diritto ad un permesso retribuito di 20 ore annue, cumulabili fino ad un periodo massimo di tre anni, per la realizzazione di attività formative il cui contenuto sia in stretta relazione con il posto di lavoro. Si crea anche un registro nei Servizi Pubblici per l'Impiego, nel quale sarà indicata la formazione ricevuta dal lavoratore durante tutto l'arco della vita lavorativa. Sarà permesso inoltre ai Centri ed Enti di formazione accreditati di effettuare direttamente i piani di formazione a livello statale o regionale.

3. Contratto per la formazione e l'apprendistato

Per ridurre l'elevata disoccupazione giovanile e mitigare gli effetti del precoce abbandono scolastico, si modificano i termini del contratto per la formazione e l'apprendistato.
Si stabilisce l'età massima per poter accedere a questo tipo di contratto a 30 anni (fino ad ora era stata 25 anni), tenendo in conto il protrarsi dei periodi di studio e l'elevato tasso di disoccupazione tra i giovani. Questo nuovo limite di età resterà in vigore fino a che la percentuale di disoccupazione non scende al di sotto del 15%.
Dopo aver effettuato un periodo di formazione in un attività, il lavoratore potrà utilizzare questa modalità di contratto in altri settori, cosa che migliorerà la propria possibilità di impiego, e gli darà una seconda opportunità. Inoltre potrà ricevere la formazione nella stessa azienda, se dispone di installazione e personale adeguato. La durata minima del contratto è di un anno e quella massima di tre. Le aziende che realizzino questo tipo di contratti avranno diritto a una riduzione dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro del 100% se hanno meno di 250 dipendenti e del 75% se hanno un organico superiore.Allo stesso tempo, le aziende che trasformino questi contratti di formazione in contratti a tempo indeterminato, avranno diritto a una riduzione dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro pari a 1.500 euro per tre anni  (1.800 se si tratta di donne).

4. Nuovo contratto a tempo indeterminato d'aiuto agli imprenditori

La riforma crea un nuovo tipo di contratto a tempo indeterminato, che potranno utilizzare le aziende con meno di 50 dipendenti, con le seguenti caratteristiche:

- avrà un periodo di prova di un anno, il che faciliterà la contrattazione a tempo indeterminato da parte delle PMI e dei lavoratori autonomi;

- l'azienda avrà il diritto a una deduzione fiscale di 3.000 euro al contrattare il suo primo lavoratore, sempre che abbia meno di 30 anni;

- in aggiunta, gli imprenditori che contrattino un lavoratore che stia percependo l'indennità per disoccupazione, potranno dedurre fiscalmente il 50% dell'indennità che al lavoratore restava da prendere al momento della contrattazione con un limite di dodici mensilità. Da parte sua il lavoratore potrà volontariamente percepire insieme allo stipendio, il 25% dell'indennità per disoccupazione durante lo stesso periodo. Inoltre, si stabilisce un sistema di bonus rivolti a disoccupati con particolari difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro.

Le misure sono le seguenti:

1.    per stimolare l'assunzione di giovani è stato introdotto un bonus nella quota previdenziale fino a 3.600 euro, per l'assunzione a tempo indeterminato di giovano dai 16 ai 30 anni per tre anni. Il bonus cresce con l'anzianità di servizio del lavoratore:

primo anno: 1.000 euro

secondo anno 1.100 euro

terzo anno: 1.200 euro.

Si applicheranno 100 euro in più all'anno se la lavoratrice è donna nei settori in cui questo collettivo è poco rappresentato.

2.    Per incentivare l'assunzione di disoccupati di lunga durata: bonus fino a 4.500 euro per l'assunzione a tempo indeterminato di disoccupati di lunga durata con più di 45 anni (disoccupati da almeno 12 mesi nei 18 mesi precedenti):

primo anno: 1.300 euro

secondo anno: 1.300 euro

terzo anno: 1.300 euro.In caso di contratti a donne in settori in cui queste siano poco rappresentate i bonus indicati si elevano di 1.500 euro.In ogni caso, per l'applicazione di questi incentivi, l'azienda dovrà tenere il lavoratore per un periodo minimo di tre anni dall'inizio del rapporto di lavoro, procedendo altrimenti al reintegro delle quantità percepite.

5. Limiti nel concatenamento dei contratti a tempo determinato

La riforma del lavoro del 2010 introduceva la regola secondo cui si limitava a un massimo di due anni la possibilità per il lavoratore di concatenare ripetuti contratti a tempo determinato con la stessa azienda. Trascorso questo periodo, il lavoratore diveniva assunto a tempo indeterminato.In un emendamento del 2011, venne sospesa l'applicazione di questa regola fino alla fine del 2013.La recente riforma recupera questo divieto di concatenamento di contratti a tempo determinato oltre i 24 mesi, che sarà invece di nuovo applicabile a partire dal 31 dicembre del 2012, anticipando di un anno la sospensione accordata l'anno scorso.

6. Modifica del contratto part-time

Si ammette la realizzazione di ore straordinarie entro i limiti massimi legali, che era stata proibita fino ad ora per i lavoratori con contratti part-time. In ogni caso la somma di queste ore e delle ore ordinarie non potrà superare l'orario di un lavoratore full-time della stessa azienda.

7. Regolamento del telelavoro

Il telelavoro viene per la prima volta regolato in Spagna, salvaguardando il diritto alla formazione degli stessi lavoratori. Si garantisce il diritto alla retribuzione equivalente a coloro che lavorano in forma presenziale nel centro di lavoro e il diritto a essere informati di eventuali posti vacanti presenziali esistenti.

8. Classificazione professionale e mobilità funzionale

Fino ad ora il sistema del lavoro spagnolo classificava solitamente i lavoratori in categorie professionali individuali che stabilivano le funzioni e i compiti da svolgere. A loro volta, le categorie professionali si raggruppavano nei cosiddetti gruppi professionali, che includevano le funzioni di carattere simile (operai, amministrativi, personale qualificato, dirigenti, etc.). Si elimina il sistema di classificazione dei lavoratori per categorie professionali e si generalizza il sistema di gruppi professionali, agevolando in questo modo la mobilità funzionale dei lavoratori e il loro adattamento a nuove funzioni. La definizione dei gruppi professionali in modo più ampio favorisce la mobilità funzionale e implica una opportunità affinché il lavoratore acquisisca esperienza in altri aree di attività in cui le proprie abilità possano essere simili, o addirittura superiori.
I contratti collettivi dovranno adattarsi entro un anno a questo nuovo sistema di classificazione professionale.

9. Miglioramento della mobilità e facilità nella modifica delle condizione di lavoro

9.1. Sospensione temporanea e riduzione dell'orario

Con l'obbiettivo di evitare il licenziamento, si semplificano i procedimenti per la riduzione dell'orario di lavoro o la sospensione del contratto come meccanismo di adattamento temporaneo in situazioni di diminuzione della domanda. Fino ad ora, le misure di riduzione dell'orario di lavoro, o sospensione temporanea del contratto aveva bisogno di una autorizzazione amministrativa previa e l'azienda era obbligata a continuare a versare le quote previdenziali dei propri lavoratori alle condizioni  precedenti la modifica. La riforma invece elimina la necessità di una autorizzazione amministrativa per utilizzare queste misure. Dall'altra parte, per aiutare le aziende in situazioni economiche avverse, si introduce un bonus del 50% delle quote previdenziali dei lavoratori soggetti a sospensione o riduzione di orario, con una durata di 240 giorni massimo e condizionato alla stabilità nell'impiego, cioè il mantenimento dei contratti di lavoro per almeno un anno a partire dalla fine dell'utilizzazione del bonus. Se l'azienda alla fine estingue i contratti, il diritto all'indennità per disoccupazione dei  lavoratori non sarà intaccato, visto che si stabilisce la reintegrazione delle prestazioni fino a un massimo di 180 giorni.

9.2.- Modifica delle condizioni di lavoro

Si amplia e si rende più flessibile la possibilità di effettuare modifiche alle condizioni di lavoro che si stanno applicando in azienda (orario, sistemi di lavoro e rendimento, lavoro a turni, sistemi di retribuzione e salario, funzioni) in caso che sussistano accertate cause economiche, organizzative, tecniche o produttive. Qualora la modifica avesse carattere individuale, il datore di lavoro dovrà notificarla ai lavoratori con 15 giorni di anticipo. Qualora invece avesse carattere collettivo, interessando più del 10% dell'organico dell'azienda, dovrà aprirsi un periodo di negoziazione con i rappresentanti dei lavoratori. Se questa negoziazione si conclude senza un accordo, il datore di lavoro notificherà la sua decisione ai lavoratori che potrà essere effettiva in un termine di 7 giorni. Nel caso in cui le condizioni di lavoro che si vogliono modificare siano regolate da un Contratto Collettivo, si applicherà  il procedimento per il "descuelgue" (distacco) o la deroga di un Contratto collettivo secondo modalità spiegate nel paragrafo successivo.In qualunque caso, le decisioni del datore di lavoro potranno essere oggetto di ricorso presso Tribunale. I lavoratori che non accettino le modifiche stabilite dal datore di lavoro, potranno optare per la rescissione del rapporto di lavoro con un indennizzo equivalente a quello stabilito per il licenziamento per giusta causa (20 giorni di salario per ogni anno di servizio per un massimo di 12 mensilità).

10. Flessibilità interna

La riforma da inizio a una riforma sostanziale nel sistema spagnolo di negoziazione collettiva.Si introduce la prevalenza dei contratti d'azienda su quelli a livello nazionale, regionale, provinciale o di settore, di modo che, indipendentemente da quello che si pattuisca a livello superiore, i rappresentanti dei lavoratori e il datore di lavoro possano concordare un contratto d'azienda che si adatti alle proprie necessità e specificità.Si offre anche alle aziende in difficoltà la possibilità di non applicare il contratto collettivo di ambito superiore, procedimento conosciuto in Spagna come "descuelgue" (stacco), qualora concorrano cause economiche, tecniche, organizzative o produttive che lo rendano necessario. S'intende che concorrono cause economiche quando si produce una diminuzione dei livelli delle entrate o delle vendite durante due trimestri consecutivi. Per procedere alla non applicazione del contratto collettivo deve aprirsi un periodo di negoziati con i rappresentanti dei lavoratori. L'accordo raggiunto determinerà esattamente le nuove condizioni di lavoro nell'azienda e la loro durata, che non potrà prolungarsi oltre in momento in cui risulti applicabile nell'impresa un nuovo contratto collettivo. Nel caso in cui non si sia accordo nelle negoziazioni tra azienda e rappresentanti sindacali, le parti dovranno affidarsi a mezzi extragiudiziari di soluzione della controversia e, eventualmente, all'arbitrariato se stabilito nel contratto collettivo. Altrimenti, una delle parti potrà portare la controversia alla Commissione Consultiva Nazionale dei Contratti Collettivi o a un suo equivalente a livello regionale (organismi di composizione tripartita, con rappresentanti dell'Amministrazione Locale, organizzazioni sindacali e patronali) che nominerà un legale come arbitro per risolvere la controversia entro un termine massimo di 25 giorni.Si stabilisce un limite temporale massimo, che non esisteva fino ad ora, per la validità dei contratti collettivi oltre il loro periodo di vigenza. Per favorire il raggiungimento di un accordo, le parti dovranno negoziarne uno nuovo entro un termine massimo di due anni. Trascorso questo termine massimo, il contratto precedente non sarà più valido.

11. Nuove regole sulla risoluzione del rapporto di lavoro e sulle indennità di licenziamento

Si modifica il testo legale sulle cause del licenziamento per motivi aziendali, al fine di evitare la relativa discrezionalità concessa fino ad ora ai Tribunali nel momento di valutare le cause o motivi invocati dal datore di lavoro. Fino adesso la legge stabiliva che è da considerarsi giustificato il licenziamento per cause economiche quando i risultati dell'azienda danno una situazione finanziaria negativa, in casi come l'esistenza di perdite correnti o previste o la diminuzione persistente del livello delle entrate o delle vendite. Nel nuovo testo viene aggiunto che "si considera persistente la diminuzione prolongata per tre trimestri consecutivi".
Si elimina, come nel caso di sospensioni temporanee o riduzioni di horario (Cassa Integrazione), l'obbligo di richiedere all'autorizzazione amministrativa per procedere ai licenziamenti collettivi. Si mantiene l'obbligo di un periodo di negoziato previo, della durata di 30 giorni, con i rappresentanti dei lavoratori, d'accordo con la normativa dell'Unione Europea. Se i negoziati non conducono ad un accordo, lo stesso datore di lavoro può adottare la decisione sulle estinzioni di rapporti che consideri necessarie. Tale decisione può essere oggetto di ricorso presso il Tribunale del Lavoro.
Si da la possibilità agli organismi ed enti che fanno parte del settore pubblico d'invocare le cause economiche, tecniche, organizzative e produttive. Questa misura intende agevolare il ridimensionamento di quelle strutture amministrative che sono cresciute smisuratamente durante la fase di forte crescita economica e che non sono più finanziariamente sostenibili, né si prevede che lo saranno nei prossimi anni.L'indennità per risoluzione del contratto a tempo indeterminato, sia per i licenziamenti individuali sia per quelli collettivi, quando si considerano giustificati i motivi addotti dal datore di lavoro, sarà di 20 giorni di salario per ogni anno lavorato, fino ad un tetto massimo uguale a 12 mensilità, vale a dire gli stessi termini stabiliti legalmente fino adesso. Finora, quando il Tribunale non considerava giustificati i motivi addotti e dichiaravano illecito il licenziamento, il datore di lavoro poteva optare tra la riammissione del lavoratore e contestuale versamento delle retribuzioni non pagate dalla data di licenziamento, e dichiarare risolto il rapporto di lavoro con il pagamento al lavoratore di un'indennità la cui somma corrispondeva a 45 giorni di salario per ogni anno di servizio con un tetto massimo di 42 mensilità per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato di tipo ordinario, oppure a 33 giorni di salario per ogni anno di servizio, con un massimo di 24 mensualità per i lavoratori assunti con contratto incentivato per il rilancio dell'assunzione a tempo indeterminato (modalità introdotta nel 1997, il cui utilizzo era limitato a determiti soggetti, come giovani, lavoratori di età avanzata, disoccupati di lungo periodo, ecc.).
Con la presente riforma, si estende a tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato e licenziati senza giusta causa o motivo giustificato l'indennità di 33 giorni di salario per ogni anno di lavoro ed un tetto massimo di 24 mensilità.
Per rispettare i diritti acquisiti dei lavoratori con contratti a tempo indeterminato di tipo ordinario, la nuova indennità sarà di applicazione esclusivamente per il periodo di lavoro effettuato a partire dall'approvazione della presente norma. Tali contratti conservano il diritto al tetto massimo di 42 mensilità. La nuova regola sull'indennità si applica con carattere generale solo ai nuovi contratti.
Il Fondo di Garanzia dei Salari pagherà alle Aziende con meno di 50 lavoratori il 40% dell'indennità legale di 20 giorni. Questa regola sará di applicazione esclusivamente ai licenziamenti leciti. Nei casi di licenziamenti collettivi si stabilisce l'obbligo per le imprese che licenzino a più di 100 lavoratori di articolare un piano di ricollocamento esterno previsto per non meno di sei mesi.

12. Lotta contro  le frodi

Per contrastare le frodi e l'economi sommersa, si stabilisce un Piano soeciale dell'Ispettorato del Lavoro e dells Sicurezza Sociale atto a garantire la stretta osservanza della legge.I percettori della prestazione di disoccupazione potranno essere sollecitati a svolgere  servizi d'interesse generale a beneficio della collettività mediante contratti di collaborazioni con la pubblica amministrazione.

13. Assenteismo

La precedente disciplina esigeva, perché un'azienda potesse licenziare un lavoratore per assenteismo prolungato e ingiustificato, che le assenze individuali raggiungessero una determinata quota e, contemporaneamente, il livello di assenteismo generale nell'azienda superasse una quota totale del 2,5 %. Si elimina il riferimento al livello generale di assenteismo nell'azienda. D'ora in poi per considerare giustificato il licenziamento si terrà conto unicamente dell'assenteismo del singolo lavoratore.

14. Capitalizzazione della prestazione di disoccupazione

Si migliora l'attuale disciplina per rendere possibile la capitalizzazione del 100% della prestazione di disoccupazione per giovani fino a 30 anni di età e donne fino ai 35 che desiderino iniziare un'attività autonoma.

Entrata in vigore.

Tutte le riforme sono entrate in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale spagnola, che è stata il sabato 11 febbraio.  

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info@codexa.it (di Raffaele Mancuso) Comparato Thu, 06 Jun 2013 16:54:52 +0000
Acoso laboral http://www.csddl.it/csddl/comparato/acoso-laboral.html http://www.csddl.it/csddl/comparato/acoso-laboral.html ACOSO LABORAL

Il mobbing in terra spagnola 

di Valerio Antonio Belsito

Negli ultimi anni, il fenomeno del mobbing, è stato ampiamente portato all’attenzione dell’opinione pubblica, nonché del nostro legislatore, da parte di giurisprudenza e dottrina.

In particolare, la Suprema Corte, ha tentato, per quanto possibile secondo le prerogative costituzionali attribuitele, di fornire una risposta a quei cittadini che, avendo subito una serie di ripetute vessazioni sul posto di lavoro, adiscano l’autorità giudiziaria per ottenere il ristoro del danno biologico subito. Si aggiunga che diverse regioni, prima fra tutte il Lazio, hanno tentato negli ultimi anni, di legiferare in materia di vessazioni sul posto di lavoro, ricevendo tuttavia la censura della Corte Costituzionale, per violazione dell’articolo 117 della Costituzione, disciplinante il riparto di competenze tra Stato e regioni.

Appare ormai chiaro che anche la legislatura decimo settima, stante il quadro di ingovernabilità che si prospetta, trascorrerà senza dare i natali ad una legge sul mobbing, tanto auspicata dai più autorevoli giuslavoristi. Pur tuttavia, è  molto importante che l’attenzione mediatica, su un fenomeno così subdolo e pericoloso, resti alta, in attesa di tempi politicamente migliori. A tal proposito, sembra interessante osservare il panorama normativo spagnolo, trattandosi di un ordinamento, per molti aspetti simile al nostro. Orbene, pur non essendoci in terra iberica, una legge civilistica in materia di mobbing, non sarebbe corretto affermare che il fenomeno è stato ignorato.

Infatti, basta sfogliare il giovane Codigo Penal, in vigore dal 1995, per accorgersi di una norma di grande interesse, quale l’articolo 173. Il primo comma, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni, chiunque “infligga ad altra persona un trattamento degradante, minando gravemente la sua integrità morale”. Con legge organica del 22 giugno 2010, a tale periodo sono stati aggiunti altri due incisi, il primo dei quali riguarda proprio le vessazioni sul lavoro, ovvero il fenomeno dell’acoso laboral (per utilizzare la terminologia spagnola). Tale inciso prevede che saranno puniti con la stessa pena coloro che, “in qualunque rapporto di lavoro, utilizzando la propria posizione sovraordinata”, pongano in essere atti ostili e vessatori nei confronti di altro lavoratore.

Una formulazione siffatta, appare certamente equivocabile, e quantomeno criticabile sotto il profilo della chiarezza terminologica. Tuttavia è lecito affermare che in Spagna le vessazioni sul lavoro hanno una rilevanza penale, tanto da essere classificate tra i delitti contro l’integrità morale. Ma v’è di più. Nel giugno 2011 il governo spagnolo ha approvato un regolamento, che tipizza alcuni comportamenti, inquadrandoli nel c.d. acoso laboral. Tra i principali comportamenti individuati dal regolamento, ricordiamo, il sottrarre al lavoratore qualunque mansione, lasciandolo dunque senza far nulla, il riprenderlo di continuo e davanti a tutti, nonché diffondere notizie false sulla sua vita privata. Alla luce di tale regolamento, che comunque ha valenza solo nelle pubbliche amministrazioni, le condotte citate, sono considerate come “mobbizzanti”, ovvero classificabili nell’ acoso laboral. Ordunque, sebbene in Spagna non esista una legge civile sul mobbing, e probabilmente, sia lontana dall’essere scritta, il fenomeno trova comunque una traccia di regolamentazione, sia sotto il profilo penale, sia attraverso una norma di rango inferiore a quello legislativo, quale il regolamento, tipico strumento dei governi europei. Questo dovrebbe essere senz’altro uno sprone per il nostro legislatore, con l’auspicio che il fenomeno del mobbing, tragicamente devastante per chi lo subisce, possa essere limitato attraverso una seria politica a tutela dei lavoratori.    

 

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info@codexa.it (di Valerio Antonio Belsito) Comparato Thu, 04 Apr 2013 17:44:44 +0000
Contrattazione collettiva e mitbestimmung tedesca http://www.csddl.it/csddl/comparato/contrattazione-collettiva-e-mitbestimmung-tedesca.html http://www.csddl.it/csddl/comparato/contrattazione-collettiva-e-mitbestimmung-tedesca.html CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E MITBESTIMMUNG TEDESCA

Nel sistema di relazioni industriali in Italia esistono concrete possibilità per l’applicazione del modello tedesco o pura chimera?

Ancora una volta ... Germania ed Italia a confronto

di

Delia Maria De Caro

 1.    Brevi cenni sul diritto di partecipazione nell’ordinamento comunitario 

L’ “Odissea” della partecipazione nell’Unione Europea inizia nel 1974 con il Programma di azione sociale e con il Libro Verde del 1975 sulla partecipazione dei lavoratori e sulla struttura della società nella Comunità Europea; infatti, nell’ottica comunitaria, la partecipazione dei lavoratori è sempre stato il fine delle sue iniziative. A tal proposito, l’Unione Europea, ha sempre avuto chiaro che parlare di partecipazione alla gestione delle imprese significa fare riferimento alla forma c.d. “classica o forte”, di matrice tedesca, la più completa e fondata su un doppio canale di rappresentanza, tanto che, essendo proprio questa forma di partecipazione l’ostacolo all’uniformità o all’armonizzazione delle norme,  (nulla quaestio, a contrario, sull’inserimento di procedure diverse e forme più blande) nelle ultime direttive si assiste nitidamente ad una distinzione fra i diritti di informazione e consultazione e quelli di partecipazione. Primo step  normativo in tale direzione lo si ha nel 1994, con il progetto Vredeling, cui si è dato attuazione con la Direttiva madre n. 1994/45 istitutiva dei CAE (Comitati aziendali europei) quali organismi di rappresentanza per esercitare la funzione di informazione e consultazione. Sono seguite, ad anni di distanza, le Direttive sui sistemi di coinvolgimento nella SE (Società Europee) e quindi nella SCE (Società Cooperative Europee) che accompagnano i relativi regolamenti n. 2157/2001 e n. 1453/2003 e soprattutto la Direttiva quadro n. 2002/14 che ha come obiettivo il completamento e il rafforzamento dei diritti di informazione e consultazione in via generale e non più soltanto in casi specifici. Conclude questo percorso normativo, la nuova Direttiva n. 2009/38 con la quale la Commissione è stata costretta ad agire in modo più soft con comunicazioni e suggerimenti, applicando anche in questo caso il metodo di coordinamento aperto (cd. MCA sociale).Procedendo ad una breve analisi delle direttive sulla SE e sulla SCE[1], emerge, prima facie, l’uso del termine più ampio ma non generico “involvment – coinvolgimento” che sta ad indicare qualsiasi meccanismo, (ivi comprese l’informazione, la consultazione e la partecipazione), mediante il quale i rappresentanti dei lavoratori possono esercitare un’influenza sulle decisioni che devono essere adottate nell’ambito della società (art.2 , lett. H, D. 2001/86 e D. 2003/72). Distinta dal concetto di informazione e consultazione, la partecipazione viene definita come “l’influenza dell’organo di rappresentanza dei lavoratori e/o dei lavoratori nell’attività di una società mediante il diritto di eleggere o designare alcuni dei membri dell’organo di vigilanza o di amministrazione della società o il diritto di raccomandare la designazione di alcuni o di tutti i membri dell’organo di vigilanza della società e/o di opporvisi” (lett. k, Direttiva 2001/86 e Direttiva 2003/72). È chiaro che qui il riferimento è all’ultimo anello di questa catena, ossia la partecipazione organica o forte (la cui massima espressione è la codecisione e la cogestione) che dunque comincia a trovare un significato più preciso. Ne consegue che, nell’ampio e composito modello di relazioni industriali, la partecipazione costituisce un genus che ricomprende una serie di istituti e tecniche normative, mediante i quali i lavoratori, individualmente e/o tramite le loro rappresentanze collettive (aziendali e/o sindacali) oppure interne ed esterne ai luoghi di lavoro, hanno un unico obiettivo: quello  di condizionare determinate decisioni delle imprese da cui dipendono, condividendone talvolta anche i destini economici e finanziari. In conclusione, può pertanto affermarsi che nel diritto sociale dell’Unione Europea, la partecipazione comprende nozioni, principi e discipline diverse, sinteticamente riconducibili nelle seguenti categorie:

1)  Diritti di informazione e consultazione dei (rappresentanti) dei lavoratori, talvolta prodromiche di attività negoziali concernenti certe decisioni dell’impresa produttive di determinate conseguenze sociali;

2)  Presenza dei rappresentanti dei lavoratori negli organi societari di amministrazione o di controllo, oppure in sedi e/o organismi appositi, composti anche in forma mista (rappresentanti dei lavoratori e dell’impresa), al fine di controllare alcune decisioni dell’ impresa;

3)  Partecipazione economica e finanziaria dei lavoratori al rischio o al capitale dell’impresa.Occorre sottolineare, peraltro che, mentre le prime due forme partecipative sono oggetto di atti di armonizzazione normativa, con direttive del Consiglio delle comunità europee, essendo prioritario l’interesse della Comunità ad eliminare le differenze legislative che si traducono in ostacoli al funzionamento del mercato comune, l’ultima invece è oggetto di semplici raccomandazioni. Le prime due aree di intervento creano o consolidano un diritto europeo comune a tutti gli Stati membri; la terza, a contrario, limitata a raccomandazioni, presuppone il permanere di diversità nazionali. 

2.    Mitbestimmung tedesca e sistema italiano: confronto 

Il giurista italiano che voglia procedere ad un’attenta analisi delle linee evolutive della contrattazione collettiva e della Mitbestimmung nell’ordinamento giuridico tedesco  deve necessariamente addentrarsi nel particolare contesto giuridico-istituzionale che contraddistingue questa peculiare esperienza. Infatti, l’ordinamento sindacale tedesco, a differenza del nostro (che tutt’ora costituisce sine dubio un esempio paradigmatico di prevalente autoregolazione), presenta elementi di forte istituzionalizzazione, atteso che gran parte delle regole del gioco nei rapporti collettivi hanno natura eteronoma. In particolare, come è stato più volte posto in rilievo da un’analisi comparata, il modello tedesco di relazioni industriali si caratterizza per essere da un lato connotato da un grado (relativamente) elevato di giuridificazione del contratto collettivo, e dall’altro da un livello di massima istituzionalizzazione di forme organizzative di composizione del conflitto estranee al sistema contrattuale: ciò significa, in altri termini,  che la contrattazione collettiva, generalmente negoziata per interi settori industriali a livello nazionale o regionale, “convive”ed interagisce con un sistema legale di codeterminazione ( il riferimento qui è claris verbis  alla cd. betriebliche Mitbestimmung, ossia alla codeterminazione che compete alla direzione e all’organo di rappresentanza del personale); com’è noto, il modello tedesco è contrassegnato anche da diverse previsioni legali che contemplano la presenza di rappresentanti di lavoratori nel consiglio di sorveglianza della società: a questo proposito, occorre menzionare la L. del 4 maggio 1976 (Mitbestimmunggesetz) che ha una portata generale e si applica alle società con più di 2000 dipendenti, la Montan-Mitbestimmungsgesetz del 21 maggio 1951 per il settore carbosiderurgico e la Drittelbeteiligungsgesetz del 18 maggio 2004 che è stata introdotta in sostituzione del Betriebsverfassungsgesetz del 1952 e si applica alle società di capitali con più di 500 dipendenti non soggette all’applicazione degli altri due modelli) articolato su istituti, procedure e strumenti di regolazione differenziati (dal sistema contrattuale) per la rappresentanza degli interessi collettivi a livello d’azienda. Questo sistema è governato dalla legge sull’ordinamento aziendale (Betriebsverfassungsgesetz), che riconosce la rappresentanza di tutti i lavoratori appartenenti ad una singola azienda a taluni organismi unitari eletti all’interno dell’azienda stessa e formalmente distinti dalle organizzazioni sindacali. Ne discende, quale logico corollario, una dicotomia tra sindacato esterno e organismi rappresentativi unitari che, in questo ordinamento, assumono anche la veste di organi di codeterminazione. È opportuno evidenziare in questa sede che questa dicotomia dei soggetti negoziali ha delle fondamentali ripercussioni sulla legittimazione e sulla configurazione giuridica degli strumenti di regolazione che competono a ciascuno di essi: infatti, mentre la contrattazione collettiva, quale manifestazione della libertà di coalizione, trova un proprio fondamento giuridico a livello costituzionale (art. 9 Grundgesetz) ed è oggetto di una disciplina legislativa organica (Tarifvertragsgesetz) che regolamenta i diversi profili riguardanti la legittimazione dei soggetti negoziali, l’efficacia giuridica ed, infine, il contenuto stesso del contratto collettivo, al contrario gli accordi aziendali (i c.d. Betriebsvereinbarungen) stipulati dal Betriebsrat ed il datore di lavoro, quale tipica espressione delle forme organizzative della Mitbestimmung (a livello d’azienda) e del principio della cooperazione (Zusammenwirken) e, dunque, di un potere derivato dalla legge, si discostano da un vero e proprio schema negoziale: eloquente in tal senso il dato normativo, posto che la legge sull’ordinamento aziendale, nei diversi casi di fallimento delle trattative riconosce al collegio arbitrale (Einigungsstelle), che può essere adito da ciascuna delle parti (ex art. 76, 5°comma), la legittimazione ad emettere una decisione che fa le veci dell’accordo. Ciò non implica, peraltro, che il sistema legale di codeterminazione (e dunque la Mitbestimmung sia al livello di azienda, sia al livello d’impresa) sia in contrasto con il nucleo della tutela dell’attività delle coalizioni garantito dall’art. 9 Abs 3, GG (libertà di associarsi). Concordi, in tale direzione, la dottrina maggioritaria tedesca e la giurisprudenza che riconoscono a tale disposizione un’interpretazione univoca: la disposizione de qua, infatti non può essere interpretata come se tutelasse un sistema di contrattazione collettiva quale forma esclusiva per la promozione delle condizioni di lavoro ed economiche, in quanto essa non intende escludere affatto altre forme organizzative ed altri strumenti di composizione del conflitto, diversi dal sistema contrattuale; si assiste, dunque, ad un costante rafforzamento dei legami tra il sistema contrattuale e la codeterminazione aziendale. Questo, in estrema sintesi, è il quadro normativo che qui viene in rilievo. Viceversa, se questo è il panorama giuridico che viene in evidenza per il sistema sindacale tedesco, in Italia ci si trova in una situazione diametralmente opposta, non potendosi non tener conto, in primis, già di un dato emblematico: l’assenza di un quadro normativo di riferimento. Infatti, le relazioni sindacali nel nostro ordinamento sono state contrassegnate ab origine da una forte impronta del metodo conflittuale. Paradigma normativo di riferimento è l’art. 46 Cost; norma al centro di un vivace dibattito dottrinale e, solo di riflesso ed indirettamente, giurisprudenziale. Si ritiene, infatti, che tale disposizione sia una norma indeterminata o, ancora, che si tratti di una norma di principio, di mero carattere programmatico, con un rinvio alla lex ordinaria circa i modi, i contenuti e limiti, sicchè restano indeterminati gli elementi qualificativi della collaborazione, quali, ad es., l’oggetto ed il collegamento con l’azione sindacale ed, infine, che collaborare sia un’ espressione di carattere polisenso, potendo spaziare dall’informazione alla cogestione. Nella pratica, però, la natura programmatica dell’art. 46 Cost., in mancanza di una legge che fissi modi e termini con i quali i lavoratori possono collaborare alla gestione dell’impresa “ in armonia con le esigenze della produzione”, non ha favorito, qualunque sia il significato che si voglia attribuire alla riserva di legge, la costruzione della via della partecipazione e l’accesso ad essa. Quindi, posto che, partecipazione è un termine polisenso, si può affermare che nel nostro ordinamento si è assistito a forme partecipative con una connotazione giustamente definita “ debole”. Debole non perché i diritti di informazione e consultazione (ormai pienamente riconosciuti) costituiscano un fatto marginale o secondario del sistema di relazioni sindacali o perché essi non siano in grado di incidere nella gestione delle imprese (in tal senso informazione e consultazione costituiscono il prius logico ancor prima che giuridico della partecipazione tout court); tutt’altro:  le materie che formano oggetto di quei diritti riguardano anche il nocciolo duro delle prerogative imprenditoriali, come ad es. i programmi per nuovi investimenti, le innovazioni tecnologiche, il sistema degli appalti, la chiusura o la riconversione delle fabbriche. Parlare qui di partecipazione “debole” significa far riferimento ad una forma partecipativa che non implica cogestione o codeterminazione, né incide sulla titolarità dei potere di direzione dell’impresa (e sulla responsabilità delle conseguenti decisioni), che è e resta dell’imprenditore. A corroborare tale assunto vi è la circostanza per cui nel nostro sistema di relazioni industriali, anche quando la procedura di informazione e consultazione si conclude con un accordo, il consenso sindacale non si appunta, almeno di norma, sull’oggetto della decisione imprenditoriale, ma soltanto sulla regolazione degli effetti che ne derivano nei confronti dei lavoratori. Ne consegue che la contrattazione può essere considerata elemento di partecipazione nella misura in cui, regolando le condizioni di impiego del lavoro, che è uno degli elementi costitutivi dell’impresa (art. 2082 c.c.) ne sottrae la disciplina al potere unilaterale dell’imprenditore e la riconduce nell’alveo di una moderna democrazia industriale. Se tutto questo è vero, può concludersi affermando, claris verbis, che la prospettiva della partecipazione è incontestabilmente di straordinario interesse. Potrebbe rappresentare infatti una fase matura di emancipazione e di responsabilizzazione democratica. Inoltre, rafforza il sistema-impresa dinanzi all’inevitabile turbolenza dei mercati poco regolamentati. Va detto peraltro che un’evoluzione in senso partecipativo del sistema di relazioni  sindacali necessita soprattutto di un mutamento favorevole del nostro contesto sociale e culturale ( pesa in primis l’assenza di una cornice legale e la mancanza di accordi quadro capaci di sollecitare e stabilizzare le prassi partecipative), così come è avvenuto da anni in altri Paesi Europei che apprestano una disciplina legislativa ad hoc, e quindi con il peso determinante di iniziative assunte nella sfera politico-istituzionale (in tal senso, si è visto, Germania in primis et ante omnia docet). 



[1] La società Europea (SE) è una forma di società che può essere costituita sul territorio dell’Unione Europea il cui funzionamento si basa su un regime di costituzione e gestione unico ( e dunque non sottoposto a normative statali differenti). Le società europee sono regolate dal regolamento europeo n. 2157 dell’8 Ottobre 2001. La Società cooperativa europea (SCE) è un tipo di società caratterizzata da uno scopo mutualistico che affianca, all’interno del quadro europeo, la società europea.
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info@codexa.it (Delia Maria De Caro) Comparato Mon, 25 Feb 2013 17:17:58 +0000
Il lavoro a domicilio e il telelavoro in Italia e Germania http://www.csddl.it/csddl/comparato/il-lavoro-a-domicilio-e-il-telelavoro-in-italia-e-germania.html http://www.csddl.it/csddl/comparato/il-lavoro-a-domicilio-e-il-telelavoro-in-italia-e-germania.html IL LAVORO A DOMICILIO E IL TELELAVORO IN ITALIA E GERMANIA

di

Delia Maria De Caro  

Il lavoro a domicilio: Italia e Germania a confronto

Nel nostro ordinamento l’istituto del lavoro a domicilio è regolato dalla L. 18/12/1973, n. 877 (“Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio”); base normativa con la quale è stata introdotta una disciplina dettagliata per questo tipo di rapporto di lavoro. Infatti, il lavoro a domicilio è una forma particolare di contratto di lavoro, in cui la prestazione è effettuata direttamente al domicilio del lavoratore o all’interno di locali di cui il lavoratore stesso ha, a qualsiasi titolo, la disponibilità. Il lavoro a domicilio è preso in considerazione dall’art. 2128 del c.c., il quale stabilisce l’applicazione delle norme sul lavoro nell’impresa al lavoro de quo, in quanto compatibili. Tale lavoro, infatti, è considerato a tutti gli effetti un lavoro subordinato, sebbene la legge n. 877/73 statuisca, in deroga al disposto dell’art. 2094 c.c., una forma di subordinazione  “mitigata”  rispetto a quella prevista per i lavoratori tout court. Infatti, colui che lavora a domicilio deve, in primis et ante omnia, custodire il segreto sul modello del lavoro commissionatogli; in secundis limitarsi ed attenersi alle direttive impartite dal datore di lavoro concernenti l’esecuzione del lavoro oggetto del contratto stesso; last but not least, astenersi dall’eseguire lavori in proprio o per conto di terzi in concorrenza con il datore di lavoro. In Germania, invece, la base normativa di riferimento del lavoro a domicilio e del telelavoro, di cui si dirà in seguito, risiede nell’HEIMARBEITSGESETZ  (HAG), introdotto nell’ordinamento tedesco nel 1951 e recentemente modificato nel 2006; normativa finalizzata alla tutela di quanti prestano la loro attività direttamente da casa. In Germania, infatti, il lavoro svolto a casa è considerato da decenni una forma speciale di occupazione e visto quale parte integrante nell’ambito del lavoro tout court in quanto permette maggiori opportunità grazie alla sua elevata flessibilità, considerata dai tedeschi la migliore tra tutte (consente, ad esempio, una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro); a  riguardo, il legislatore tedesco ha fornito una normativa specifica e garantista in ordine ai diritti e doveri del lavoratore, considerato (al pari del lavoratore a domicilio italiano) un lavoratore subordinato ed al contempo tutelato da speciali norme riguardanti remunerazione, orario di lavoro, retribuzione e sicurezza sul luogo di lavoro. In tal senso il paragrafo 13 dell’HEIMARBEITSGESETZ, in materia di sicurezza e salute, stabilisce la competenza del Governo Federale nell’adottare regolamenti riguardanti la sicurezza sui luoghi di lavoro con il consenso del Bundesrat; regolamenti che disciplinano singoli settori o alcuni tipi di lavoro a domicilio; all’uopo, il Governo può vietare il lavoro a domicilio quando quest’ultimo comporti serie minacce alla vita o alla salute psicofisica del lavoratore (divieto statuito con decreto e dopo il parere favorevole del Bundesrat). Del pari, il legislatore italiano, in materia di sicurezza sul lavoro, ha previsto altresì un’ipotesi in cui sancisce, apertis verbis, il divieto di far ricorso al lavoro a domicilio. A tal fine l’art. 2 della L. 877/73 prevede già il divieto di utilizzare il lavoro a domicilio nel caso di mansioni che necessitano dell’impiego di sostanze nocive o pericolose per la salute o per la stessa incolumità del lavoratore e/o della sua famiglia.

Nell’ordinamento tedesco, una disposizione fondamentale in tema di lavoro a domicilio risiede nel paragrafo 7 dell’HAG, il quale statuisce l’obbligo, per chi vuole assumere per la prima volta lavoratori a domicilio, di informare il Supremo Consiglio Federale del Lavoro o l’organismo da esso designato per ogni Lander.

Analogamente, l’ordinamento italiano, seguendo quanto stabilito dall’ordinamento tedesco (in tal senso Germania docet), ha stabilito che i datori di lavoro, che intendano avvalersi di lavoratori a domicilio, sono tenuti ad iscriversi in un apposito “registro dei committenti“ tenuto dalle Direzioni Provinciali del Lavoro; allo stesso modo anche gli stessi lavoratori devono essere iscritti in un registro speciale tenuto a cura dei centri per l’impiego.

Il telelavoro

In Europa il telelavoro è già una realtà: infatti, sono oltre 9 milioni (circa 4 milioni solo in Germania e Francia). Si tratta di una nuova modalità di lavoro, nata per adeguarsi alle sempre maggiori necessità ed esigenze del lavoratore moderno. Esistono, in tal senso, diverse modalità di lavoro che si concretizzano nell’espletamento di attività da svolgersi all’esterno dell’azienda, ognuna delle quali fa riferimento alla singole esigenze dell’impresa e del lavoratore; la forma più diffusa è il telelavoro a domicilio, forma speciale di lavoro, in cui il lavoratore non espleta le sue mansioni in azienda, ma sono direttamente i macchinari e le attrezzature ad impiantarsi a casa del lavoratore. I vantaggi sono evidenti per entrambe le parti sociali: per l’impresa, infatti, è possibile realizzare un opportuno decentramento di alcune attività mentre per il lavoratore può essere più conveniente prestare la sua attività direttamente da casa. Tuttavia, tale modalità di lavoro può anche costituire, in alcuni casi, un èscamotage per il datore di lavoro per relegare il prestatore all’infuori dei locali aziendali. Da un osservazione dettagliata del fenomeno del telelavoro, dei singoli contratti aziendali e contratti nazionali emerge, ictu oculi, una delle caratteristiche fondamentali di tale tipologia di lavoro, ossia la flessibilità dell’orario lavorativo. Infatti, la fissazione dell’orario di lavoro in materia di telelavoro, si basa prettamente sulla reperibilità del lavoratore e sui suoi tempi di lavoro al fine di individuare non un dato monte ore ( come nei contratti tradizionali), bensì soltanto per individuare dei criteri-guida a cui il datore di lavoro e il telelavoratore devono fare riferimento. In Germania, ad esempio, alcuni contratti aziendali quali ad es. la IBM Germania, 1996 e la Deutsche Telekom, 1996 statuiscono la competenza delle rappresentanze sindacali (per la IBM) e degli accordi individuali (per la Deutsche Telekom) in ordine alla fissazione dell’orario di lavoro; orario che viene suddiviso in due parti, ossia orario fisso che viene stabilito dall’azienda e orario “auto-controllato” programmato dal lavoratore non comprendente eventuali pagamenti derivanti da lavoro straordinario non preventivamente concordato. La Lufthansa System, 1997, invece, stabilisce un monte orario massimo (10 ore giornaliere) da ripartirsi sulla base di accordi singoli tra lavoratore e datore di lavoro, non  prevedendo altresì il pagamento per eventuale lavoro straordinario non preventivamente concordato.           

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info@codexa.it (Delia Maria De Caro) Comparato Tue, 23 Nov 2010 17:23:11 +0000
Il lavoro autonomo nell'ordinamento spagnolo: la figura del TR.A.D.E. http://www.csddl.it/csddl/comparato/il-lavoro-autonomo-nellordinamento-spagnolo-la-figura-del-tr.a.d.e.html http://www.csddl.it/csddl/comparato/il-lavoro-autonomo-nellordinamento-spagnolo-la-figura-del-tr.a.d.e.html IL LAVORO AUTONOMO NELL'ORDINAMENTO SPAGNOLO: LA FIGURA DEL TR.A.D.E.

di Valerio Belsito

(da www.dirittodeilavori.it, Anno IV n. 1, gennaio 2010)

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info@codexa.it (di Valerio Belsio) Comparato Sun, 07 Feb 2010 10:14:14 +0000