Riforma P.I. - CSDDL.it - Centro Studi Diritto Dei Lavori Centro Studi Diritto dei Lavori - Bisceglie - A cura dell'Avv. Antonio Belsito e del Prof. Gaetano Veneto http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./ Fri, 12 Mar 2021 13:03:46 +0000 Joomla! 1.5 - Open Source Content Management it-it La valutazione delle performance nei Corpi di Polizia Locale http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./la-valutazione-delle-performance-nei-corpi-di-polizia-locale.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./la-valutazione-delle-performance-nei-corpi-di-polizia-locale.html La valutazione della performance nei Corpi di Polizia Locale 

di Mario Lo Izzo 

La materia della valutazione della performance e della produttività, nel corso degli ultimi anni, è stata interessata da una significativa produzione normativa che ha preso avvio con il d.l. 112/2008 e, soprattutto, con il d.lgs. n. 150/2009, giungendo ad una sostanziale riscrittura dei profili fondamentali del sistema del lavoro pubblico e degli istituti premiali. In particolare, sul tema della valutazione della performance individuale ed organizzativa della Polizia Locale costituiscono un punto di riferimento fondamentale gli indirizzi emanati dalla Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche (in acronimo CiVIT) con la deliberazione n. 89 del 29 luglio 2010, nonchè le “Linee guida relative al miglioramento del Sistema di misurazione e valutazione della performance e dei Piani della performance” emanate dalla stessa CiVIT con la deliberazione n. 1 del 5 gennaio 2012.

Invero, i criteri generali sanciti dai precitati documenti vanno opportunamente adattati al settore specifico della Polizia Locale, fermo restando che, come statuito in via generale dalla delibera CiVIT n. 112 del 28 ottobre 2010, il piano della performance deve definire tre elementi fondamentali: gli obiettivi, gli indicatori, ed i target. In riferimento alla predisposizione del piano della performance è quindi opportuno sottolineare l’importanza dell’assegnazione di obiettivi chiari, individuati da parte dell’Amministrazione: per i comandanti infatti è fondamentale che i sindaci e gli assessori delegati al ramo pongano obiettivi precisi ed assegnino in modo puntuale le priorità da perseguire nel tempo. È infatti fondamentale la qualità del sistema di programmazione degli enti e la negoziazione degli obiettivi tra organo di indirizzo politico, personale e dirigenza, auspicando il superamento della prassi diffusa tra gli operatori amministrativi di limitarsi ad utilizzare gli strumenti programmatori quali meri adempimenti obbligatori non legati ad aspetti programmatici effettivi.

Gli indicatori sono di tre tipi: gli indicatori di input (che descrivono le risorse umane ed i mezzi disponibili per una attività); gli indicatori di outcome (che descrivono le attività, quali i servizi e i controlli volti a raggiungere gli obiettivi) e gli indicatori di output (cioè il risultato che si ottiene al termine di una attività, quale per esempio il numero delle violazioni contestate).

I target, ossia i risultati che ci si prefigge di ottenere, devono essere realistici e sufficientemente sfidanti ed innovativi e costituiscono il valore desiderato in corrispondenza di un’attività espresso in termini quantitativi entro uno specifico intervallo temporale in relazione ad obiettivi sia strategici che operativi. I target, possono essere espressi in valori assoluti, quali, per esempio, un certo numero infrazioni da contestare, oppure in termini incrementali, ossia ponendo in essere azioni di controllo della circolazione onde ridurre gli incidenti stradali di una certa percentuale.

Le pre-condizioni per realizzare un efficace sistema di valutazione, sono costituite, oltre che da precisi sistemi di rendicontazione dei risultati ottenuti dai corpi di polizia locale, anche dall’equilibrio del clima organizzativo e sindacale interno alla PA.

Gli scopi prioritari della valutazione della performance individuale sono l’evidenziazione del contributo individuale rispetto agli obiettivi del Corpo di Polizia Locale, l’appalesamento dei risultati attesi da ciascun dipendente, il miglioramento della performance delle risorse umane e del clima organizzativo.

La prestazione individuale per i comandanti (dirigenti e posizioni organizzative) è valutata attraverso il grado di raggiungimento degli obiettivi, il comportamento organizzativo, le competenze professionali e manageriali dimostrate, il grado di differenziazione nella valutazione delle prestazioni del personale assegnato. Il comportamento organizzativo del comandante e, pur se in una scala ridotta degli ufficiali e sottufficiali, viene valutato sulla base di specifici fattori quali l’affidabilità e l’orientamento al risultato, la capacità di programmazione, l’orientamento all’efficienza ed all’economicità, la gestione e lo sviluppo delle risorse umane, la capacità di relazione e di “fare squadra”, le competenze tecniche.

Fondamentali al riguardo sono la capacità di risposta, in termini di tempo, di qualità e di “problem solving”, alle sollecitazioni degli organi dirigenziali sovraordinati e degli organi di governo, nonché le competenze nel pianificare, gestire e controllare le attività inerenti la propria area di responsabilità, in funzione degli obiettivi prefissati e nel rispetto dei vincoli legislativi e temporali esistenti.

Occorrono inoltre specifiche capacità nel gestire i picchi di carico operativo delle attività, nel valutare il grado di priorità degli obiettivi propri e dei propri collaboratori, nonchè la propensione a introdurre semplificazione nell’organizzazione e nei metodi di lavoro.

Per capacità di gestione e sviluppo delle risorse umane si intende l’abilità nel motivare le risorse umane, l’attitudine ad individuare i bisogni di addestramento, a definire i percorsi di crescita professionale, a fare ricorso alla delega in relazione alla complessità delle attività gestendo e risolvendo eventuali situazioni critiche, foriere di difficoltà nei rapporti interpersonali all’interno del Corpo di Polizia Locale. Imprescindibile è la capacità di stabilire rapporti professionali positivi con i membri del Corpo, con altre direzioni dell’amministrazione, con le altre Forze di Polizia favorendo ogni possibile interazione sinergica. Per competenze tecniche si intendono le conoscenze, le attitudini e le capacità possedute per poter svolgere correttamente i compiti e le attività relativi alla posizione ricoperta e al lavoro assegnato che occorre essere in grado di aggiornare costantemente.

La performance individuale del personale non ufficiale viene invece valutata in relazione al raggiungimento degli obiettivi del servizio, al comportamento organizzativo, alle competenze professionali, alla flessibilità, alla disponibilità, alla capacità di interagire con i colleghi e con l’utenza, all’autonomia nello svolgimento dei compiti assegnati. Inoltre va evidenziata la necessità di una corrispondenza tra la valutazione della performance organizzativa dell’ente e la valutazione individuale dei dirigenti in modo tale che questi ultimi possano fruire degli istituti retributivi premianti solo se la struttura di cui sono responsabili raggiunga un miglioramento in termini di produttività. Fondamentale è quindi l’equilibrio tra i diversi piani della valutazione dell’amministrazione nel suo complesso (performance organizzativa) e della performance individuale dei singoli dirigenti e dipendenti. L’importanza di una corretta applicazione degli strumenti analizzati discende dalla circostanza che merito, premi e valutazione delle performance costituiscono l’asse portante dell’intero disegno riformatore. Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, è di tutta evidenza che l’obiettivo del miglioramento delle prestazioni lavorative nel pubblico, risulta ineludibilmente connessa al ruolo fondamentale rivestito dai comandanti nella valutazione, nell’utilizzo dei poteri gestionali e di tutte le prerogative dirigenziali. Infatti è indispensabile che i comandanti incentivino la produttività dei dipendenti, adeguando il proprio comportamento alle indicazioni dell’Unione Europea, non limitandosi ad attuare solo formalmente gli obblighi di legge limitatamente al fine di evitare le sanzioni previste in caso di mancato recepimento della normativa, ma puntando a riformare e migliorare l’ufficio di cui sono responsabili, cogliendo le opportunità delle riforme da ultimo intervenute per attuare un rilancio dei Corpi di Polizia Locale.  

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info@codexa.it (di Mario Lo Izzo) Riforma P.I. Wed, 23 Jan 2013 10:27:40 +0000
Le novità sulla spending riview http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./le-novita-sulla-spending-riview.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./le-novita-sulla-spending-riview.html Articolo già pubblicato sul bollettino ordinario Adapt del 30 luglio 2012 n. 29

 Le novità sulla spending review: il d.l. 6 luglio 2012, n. 95 

di Roberta Bruno  

Nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2012 è stato pubblicato il d.l. n. 95/2012, recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica”, noto anche come spending review. La struttura del d.l. n. 95/2012 è rappresentata da cinque titoli:

• il primo contiene disposizioni generali in materia di riduzione delle dotazioni organiche e delle spese delle PA;

• il secondo prevede norme volte alla riduzione della spesa delle amministrazioni statali e degli enti non territoriali;

• il terzo si occupa della razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria;

• il quarto regola la razionalizzazione e la riduzione della spesa degli enti territoriali;

• il quinto contempla disposizioni di carattere finanziario e la finalizzazione dei risparmi di spesa.

Nell’ambito dei venticinque articoli di cui si compone il provvedimento in esame, sono numerose le disposizioni che, in linea con la produzione legislativa intervenuta negli ultimi anni, dispongono tagli alle spese del personale dipendente delle PA.

D’altronde, il d.l. n. 95/2012 interviene all’indomani della pubblicazione della relazione della Corte dei Conti sul costo del lavoro pubblico per l’anno 2012, inserendosi coerentemente nel solco dell’intensa stagione di produzione legislativa caratterizzata da misure sempre più stringenti di contenimento della spesa relativa al pubblico impiego. Quindi, anche sulla base dei dati analitici relativi all’andamento delle singole voci di spesa forniti dalla Corte dei Conti, la decretazione d’urgenza governativa ha operato scelte normative volte a fronteggiare le note problematiche finanziarie incidendo significativamente sulle future programmazioni della spesa.

In particolare, tra le misure di maggiore rilievo in materia di pubblico impiego vanno prioritariamente segnalate quelle previste dall’art. 16, comma 8, relativamente alla determinazione delle dotazioni organiche degli enti in base alla media nazionale e alla emanazione di un d.P.C.M.: più precisamente, fermi restando i vigenti vincoli assunzionali di cui all’art. 76 del d.l. n. 112/2008 convertito in l. 133/2008, è stata prevista, con specifico riferimento agli organici degli enti locali, l’emanazione di un decreto, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro il 31.12.2012. Tale decreto identificherà i parametri di virtuosità degli enti locali per determinarne le dotazioni organiche in base al rapporto tra dipendenti e popolazione residente. Specificamente in base alle previsioni del d.l. n. 95/2012, la media nazionale del personale in servizio presso gli enti verrà determinata conteggiando anche le unità di personale in servizio presso le società partecipate e gli enti verranno suddivisi in due fasce: quelli con un numero di personale superiore al 20% rispetto a tale media avranno il divieto di effettuare assunzioni a qualsiasi titolo, mentre quelli con numero superiore al 40% rispetto a tale media dovranno attivare le procedure di ricollocamento del personale in sovrannumero.

Sempre in tema di limiti assunzionali va segnalato il disposto di cui all’art. 4, commi da 9 a 12, del d.l. n. 95/2012 che prevede vincoli alle assunzioni anche per le società pubbliche controllate dalle PA che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore della PA superiore al 90%, ma che non svolgano servizi alla cittadinanza. Ancora, va evidenziato che ai sensi dell’art. 5, comma 9, è vietato attribuire incarichi di studio e consulenza al personale già in ruolo nell’ente e poi collocato in quiescenza che abbia svolto nel corso dell’ultimo anno di servizio funzioni e attività corrispondenti a quelle dell’incarico di studio e di consulenza.

Stringenti limiti sono previsti altresì nelle more dell’attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione delle province, in quanto l’art. 16, comma 9, sancisce il divieto transitorio per tali enti locali di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato.

L’art. 5, comma 7, del d.l. n. 95/2012 invece stabilisce che, a decorrere dal 1° ottobre 2012, il valore dei buoni pasto attribuiti al personale anche di qualifica dirigenziale, non può essere superiore al valore nominale di 7 euro, cessando di avere applicazione ogni eventuale disposizione contrattuale discordante. Al riguardo il legislatore precisa che le somme derivanti dai risparmi relativi al valore dei buoni pasto non possano essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa, costituendo invece economie di bilancio per le amministrazioni senza alcun vincolo di utilizzazione nell’ambito della spesa per il personale.

Di notevole rilievo è altresì il disposto dall’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95/2012 in base al quale le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale dipendente e di qualifica dirigenziale devono essere obbligatoriamente fruiti e non possono dar luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi della fruizione degli stessi. Il divieto di monetizzazione in questione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età e la violazione di esso, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente. È opportuno precisare, anche per le inevitabili conseguenze di ordine pratico ed operativo per le PA, che il divieto di monetizzazione delle ferie non godute è entrato in vigore unitamente al provvedimento in commento, ossia a decorrere dal 7 luglio, e si applica a tutte le PA, quindi anche a regioni ed agli enti locali. Invero, la concreta applicazione delle norme in questione solleva numerosi dubbi applicativi sia in merito alla monetizzazione delle ferie richieste prima della entrata in vigore del decreto, sia in riferimento al divieto di fruizione delle ferie nel periodo di preavviso sancito dall’art. 2109 c.c. e dalla contrattazione collettiva nazionale. Invero, va sottolineato che non essendo in alcun modo considerati dalle previsioni legislative in analisi i motivi dell’eventuale mancata fruizione delle ferie, può aver luogo un dispendioso contenzioso dovuto ad interpretazioni contrastanti con le tutele costituzionali previste in tema di ferie e da ultimo ribadite anche dalla Suprema Corte nella sentenza del 9 luglio 2012, n. 11462. In tema di metodologia di valutazione viene invece previsto dal comma 11 dell’art. 5 che con uno specifico d.P.C.M., da adottare sulla base delle proposta della Civit, siano adottati i criteri per la valutazione dei dirigenti, dei responsabili e dei dipendenti con riferimento sia alla performance organizzativa che a quella individuale. Tale metodologia, che si applicherà fino alla definizione dei nuovi contratti collettivi nazionali di lavoro, non dovrà essere utilizzata nelle PA che hanno già autonomamente adottato un sistema di valutazione coerente con i principi dettati dal d.lgs. n. 150/2009 (c.d. riforma Brunetta).

Peraltro, proseguendo con l’analisi delle novità normative introdotte, in riferimento al calcolo dei cedolini viene previsto che a decorrere dal 1° ottobre 2012 tutte le PA stipulino specifiche convenzioni con la Ragioneria Generale dello Stato per i servizi di calcolo degli stipendi del proprio personale e dei propri dirigenti e che in alternativa esse possano utilizzare i parametri dettati nelle disposizioni da ultimo introdotte per acquisire direttamente tali servizi sul mercato. Viene altresì prevista l’abrogazione della vicedirigenza la cui introduzione risale alla l. n. 145/2002, c.d. legge Frattini, e la cui concreta attuazione era rinviata alla contrattazione collettiva.

Si prevede inoltre che a buona parte del personale impegnato come autista vengano assegnate mansioni diverse, coerenti con quelle precedentemente svolte e in conformità con il principio della esigibilità delle mansioni professionalmente equivalenti dettato dai contratti nazionali, fermi restando il trattamento economico in godimento e la categoria di inquadramento.

Orbene, alla luce di quanto sin qui evidenziato, pare indubbio che il provvedimento legislativo in commento rappresenti uno strumento fortemente incisivo sugli andamenti e sul riequilibrio della finanza pubblica, nell’ambito della quale la spesa per il lavoro dipendente rappresenta una variabile determinante. D’altronde la legittimità della produzione legislativa volta al contenimento delle spese nelle PA è stata avvallata dalla recente sentenza della C. Cost. del 2 luglio 2012, n. 173, in cui la Consulta ha dichiarato costituzionalmente legittimi alcuni interventi operati dal legislatore nazionale in materia di contenimento delle spese in materia di impiego pubblico e di limite all’esercizio della facoltà delle PA di accogliere le istanze di trattenimento in servizio.

Fondamentale è quindi riflettere sulla necessità di operare, contemporaneamente all’applicazione delle misure disposte in tema di spending review, un vero e proprio cambio di mentalità degli operatori pubblici che induca questi ultimi a superare i noti problemi connessi alla progressiva riduzione del personale assommando diverse funzioni nel personale rimanente in servizio, nonchè convenzionando le funzioni fondamentali degli enti, al fine di non compromettere il processo di modernizzazione della PA ed i rapporti con cittadini ed imprese. Le stringenti misure economiche introdotte con gli ultimi provvedimenti emanati dal governo infatti impongono alle PA di rimodulare la propria organizzazione in modo flessibile, in considerazione delle ormai limitate risorse umane ed economiche a disposizione. D’altronde, la professionalità e il servizio reso dai dipendenti pubblici, se adeguatamente riconosciuti, valorizzati e tutelati, costituiscono una leva fondamentale per il miglioramento dell’efficienza dei servizi resi alla cittadinanza. In conclusione, la portata e gli effetti delle disposizioni in tema di spending review potranno incidere positivamente sulla situazione delle PA italiane soltanto se gli operatori interessati, superando le asprezze connesse alle ristrettezze economiche, saranno guidati da un forte senso di responsabilità e dalla consapevolezza della necessità di supportare la ripresa e la crescita del Paese, attanagliato in una delle congiunture più critiche ed impegnative della sua storia. 

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info@codexa.it (di Roberta Bruno) Riforma P.I. Wed, 29 Aug 2012 17:13:39 +0000
Riforma del mercato del lavoro e pubblico impiego: quale destino? http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./rifirma-del-mercato-del-lavoro-e-pubblico-impiego-quale-destino.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./rifirma-del-mercato-del-lavoro-e-pubblico-impiego-quale-destino.html RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO E PUBBLICO IMPIEGO: QUALE DESTINO?

 

di Nicola Gasparro

 

 

articolo già pubblicato sulla rivista giuridica telematica www.dirittodeilavori.it, anno VI n. 2, giugno 2012, edita da Cacucci, Bari

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info@codexa.it (di Nicola Gasparro) Riforma P.I. Tue, 26 Jun 2012 16:34:37 +0000
Relazione della Corte dei Conti sul costo del lavoro pubblico per l'anno 2012 http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./relazione-della-corte-dei-conti-sul-costo-del-lavoro-pubblico-per-lanno-2012.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./relazione-della-corte-dei-conti-sul-costo-del-lavoro-pubblico-per-lanno-2012.html Articolo già pubblicato sul Bollettino ordinario ADAPT del 22 maggio 2012, n 19.  

Relazione della Corte dei Conti sul costo del lavoro pubblico per l’anno 2012:

prime osservazioni  

di Roberta Bruno  

All’indomani della sottoscrizione dell’Intesa del 3 maggio 2012 volta a ridefinire l’assetto delle relazioni sindacali nel pubblico impiego, nonché dell’intensa stagione di produzione legislativa caratterizzata da stringenti misure di contenimento della spesa del personale, la Corte dei Conti ha pubblicato la relazione sul costo del lavoro pubblico per l’anno 2012. La stesura di tale relazione è prevista dall’art. 60, comma 4, del d.lgs. 165/2001, quale esplicazione del ruolo affidato dall’art. 100 Cost. alla Corte dei Conti di organo al servizio dello Stato-comunità e, soprattutto, ente garante imparziale degli equilibri di finanza pubblica e dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.

È indubbio, soprattutto alla luce della necessità di procedere al riequilibrio dei conti pubblici, che la relazione in commento rappresenti un rilevante referto sugli andamenti della finanza pubblica, nell’ambito della quale la spesa per i redditi da lavoro dipendente rappresenta una variabile critica in quanto caratterizzata, negli ultimi decenni, da un andamento disordinato e fuori controllo.

Invero, il contesto sistematico in cui interviene l’attività refertuale in commento è incisivamente caratterizzato dal blocco della contrattazione collettiva nazionale di tutti i comparti del settore pubblico per il triennio 2010-2012, dalla cristallizzazione fino al 2014 del trattamento economico ordinariamente spettante, dalla riduzione percentuale dei redditi più elevati, dall’inasprimento dei vincoli alle facoltà assunzionali. Più specificamente, gli interventi volti al contenimento della spesa derivante dal lavoro pubblico introdotti con il d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n. 133/2008, e culminati con il  d.l. n. 78/2010, convertito nella l. n. 122/2010, sono stati da ultimo ulteriormente rafforzati dalle due manovre estive del 2011 (d.l. n. 98/2011 e d.l. n. 138/2011), dalla legge di stabilità per il 2012 (l. n. 183/2011) e dal c.d. decreto “salva Italia” (d.l. n. 201/2011 convertito nella l. n. 214/2011).

La Corte, quindi, sulla base di dati analitici, attendibili ed attuali e, soprattutto, mediante l’analisi dell’andamento delle singole voci di spesa e l’evidenziazione dei fattori che hanno inciso sulla dinamica dei trattamenti retributivi degli ultimi anni, fornisce una rappresentazione contabile dei fenomeni finanziari utile per l’elaborazione delle future programmazioni della spesa. La struttura della relazione sul costo del lavoro pubblico per l’anno 2012 è rappresentata da sette capitoli:

• il primo in materia di misure di contenimento della spesa e di assetto delle relazioni sindacali;

• il secondo si occupa della spesa per redditi da lavoro dipendente negli anni 2011-2014 secondo una impostazione comparativa tra Italia ed Europa;

• il terzo contiene considerazioni generali sulla consistenza, composizione e costo del personale pubblico anche in prospettiva futura;

• il quarto si sofferma sulla consistenza, composizione e costo del personale contrattualizzato mediante un’analisi dei dati relativi ai dipendenti pubblici per singoli comparti (Ministeri, Agenzie fiscali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Scuola, Enti pubblici non economici, Università, Istituzioni ed Enti di ricerca, Regioni ed autonomie locali, Regioni a statuto speciale e Province autonome, Servizio sanitario nazionale);

• il quinto rileva i dati relativi alla consistenza, composizione e costo del personale in regime di diritto pubblico (Magistratura e Avvocatura dello Stato, Università statali, Corpi di Polizia, Forze armate, Corpo nazionale dei vigili del fuoco, carriera prefettizia, diplomatica e penitenziaria);

• il sesto si occupa delle problematiche concernenti la stabilizzazione del personale precario;

• il settimo si sofferma sulle criticità e sull’andamento della contrattazione integrativa in relazione anche al difficile percorso di attuazione del d.lgs. n. 150/2009.

Invero, con specifico riferimento alla prima parte della relazione, va evidenziato che in un contesto caratterizzato dalla perdita di competitività dell’Italia e da preoccupanti livelli di produttività del settore pubblico, le misure adottate dall’Italia per il contenimento del costo del lavoro pubblico sono per molti aspetti analoghe a quelle avviate dai Paesi dell’Unione europea esposti agli effetti della crisi economica globale. Dalle osservazioni formulate al riguardo dalla Corte dei Conti si evince che in Italia sia l’andamento della spesa per redditi da lavoro pubblico, sia il rapporto tra spesa per redditi e spesa corrente nelle PP.AA., risultano in linea con i principali Paesi dell’Unione europea. Nella seconda parte della relazione, invece, la Corte, sulla base dei dati contenuti nel Conto annuale predisposto dalla Ragioneria generale dello Stato, quale fonte privilegiata da cui attingere le informazioni a supporto della propria attività refertuale, approfondisce in modo analitico l’andamento di tutte le variabili che determinano il costo del lavoro, cioè la consistenza, la distribuzione e la classificazione dei dipendenti nei vari livelli economici, gli effetti della sottoscrizione dei contratti collettivi e la dinamica delle singole componenti retributive con specifica attenzione ai trattamenti economici accessori. Più precisamente, la Corte ha rilevato per l’anno 2010 la diminuzione del numero dei dipendenti in servizio presso tutti i comparti delle PP.AA., soprattutto quelli statali, con la conseguente riduzione del costo del personale quale segnale di efficacia delle politiche di contenimento della spesa avviate a partire dal 2008. Dal documento in commento emerge anche la netta flessione degli organici del personale in regime di diritto pubblico che rappresentano il 18% del totale complessivo dei dipendenti pubblici. Invero, la magistratura contabile, nella nota di sintesi della relazione 2012 sul costo del lavoro pubblico, evidenzia le criticità relative a tale versante, sottolineando che i reiterati tagli agli organici obbligano le PP.AA. ad una continua attività di revisione degli assetti organizzativi che ostacola il consolidamento delle competenze e della professionalità del personale, con inevitabili conseguenze negative sull’efficienza dei servizi erogati.

L’esame dei dati condotto dalla Corte conferma, quindi, l’efficacia delle misure adottate con il d.l. n. 112/2008, il d.l. n. 78 /2010 e le due manovre estive del 2011 anche sotto il profilo del controllo della spesa di personale in relazione agli incrementi retributivi: dopo il biennio 2009-2010 caratterizzato da una modesta crescita delle retribuzioni, i dati ISTAT relativi all’anno 2011 evidenziano, infatti, una diminuzione della spesa per redditi da lavoro dipendente pari all’1,2% rispetto all’anno precedente, valore doppio rispetto a quello stimato dal Governo.

Nel documento in analisi si è anche rilevato che nel periodo 2005-2011 il divario tra le retribuzioni contrattuali del settore pubblico e quelle del settore privato ha subito un drastico ridimensionamento destinato ad accentuarsi ulteriormente per effetto del blocco della contrattazione collettiva fino al 2014. Tali dati risultano ancor più significativi laddove si considera che, negli scorsi anni, nella relazione sul costo del lavoro pubblico della Corte dei Conti e nel rapporto sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti dell’Aran è stato invece evidenziato un notevole slittamento retributivo per cui la retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti risultavano superiori all’andamento del settore privato e superiori rispetto all’inflazione reale registrata a consultivo.In tema di dinamica salariale nella relazione per l’anno 2012 viene altresì prevista una ripresa della spesa per redditi da lavoro dipendente a partire dal 2015 per effetto della ripresa dell’attività negoziale collettiva.Contrariamente ai dati rilevati per il personale dipendente, sono stati registrati andamenti non omogenei della spesa per la retribuzione accessoria dei dirigenti: infatti, a fronte della rilevazione di una notevole riduzione di tale voce di spesa per alcuni comparti, si è segnalato un aumento rilevante del predetto dato relativamente ai comparti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministeri.Peraltro, nella citata sintesi della relazione sul costo del lavoro pubblico, i magistrati contabili si spingono sino a segnalare - mediante uno specifico approfondimento relativo al costo delle prerogative sindacali per l’anno 2010 - che la fruizione dei diversi istituti (aspettative retribuite, permessi, distacchi) può essere stimata come equivalente all’assenza dal servizio per un intero anno lavorativo di un dipendente ogni 550 in servizio.

Di notevole rilievo, anche per le inevitabili sfumature politiche, sono inoltre le osservazioni formulate dalla Corte dei Conti relativamente al rinvio - conseguente al blocco della contrattazione collettiva nazionale - dell’applicazione delle norme più incisive in materia di valutazione del merito individuale contenute nel d.lgs. n. 150/2009. Al riguardo, viene anche stigmatizzato il mancato avvio del nuovo modello di relazioni sindacali delineato nell’Intesa del 30 aprile 2009, considerato dai giudici contabili incisivamente orientato ad una effettiva correlazione tra erogazione dei trattamenti economici accessori e una maggiore efficienza e produttività delle PP.AA.. L’ultima parte della relazione è invece dedicata all’andamento della contrattazione integrativa che, essendosi svolta in un contesto caratterizzato da una riduzione delle risorse disponibili e dalla introduzione di controlli più rigorosi, ha portato ad una generale flessione nel 2010 dell’ammontare dei compensi destinati ad incentivare la produttività. Invero, l’attuale sistema delle relazioni sindacali sembra destinato ad essere incisivamente rivisto per effetto del Protocollo d’intesa sottoscritto il 3 maggio 2012 fra Governo, Regioni, Province, Comuni e organizzazioni sindacali volto a definire un nuovo modello sindacale nel settore pubblico, nonché i rapporti tra legge e contrattazione collettiva. Con particolare riferimento alla parte della predetta Intesa relativa alla semplificazione dei sistemi di misurazione, valutazione e premialità, la magistratura contabile esprime la propria perplessità in merito ad un eventuale percorso di complessiva revisione del d.lgs. n. 150/2009, come modificato dal d.lgs. n. 141/2011, paventando in particolare il rischio di una possibile permanenza delle criticità connesse alla distribuzione indifferenziata e non selettiva delle risorse che ha caratterizzato sino ad oggi la contrattazione collettiva. Dunque, il quadro delineato dalla Corte in riferimento alla contrattazione integrativa, prendendo avvio da una generale ricostruzione delle criticità dell’attuale sistema normativo, mira a fornire utili elementi di riflessione per l’avvio di una riforma strutturale delle componenti accessorie della retribuzione. Invero, la portata e gli effetti del referto in commento potranno incidere significativamente sul futuro delle PP.AA. italiane se ne scaturirà un confronto costruttivo con tutte le istituzioni, centrali e locali, animato dal superamento delle asprezze del dibattito politico e, soprattutto, da un forte senso di responsabilità, nel superiore interesse dei cittadini e in vista dell’ormai indifferibile processo di modernizzazione dell’apparato amministrativo italiano. D’altronde, anche solo scorrendo l’indice della relazione in commento si evince che l’evidenziazione dei fattori che hanno inciso sulla dinamica del costo del lavoro pubblico, lungi dal costituire una superficiale elencazione dei risultati raggiunti, si spinge a dar conto delle esigenze di perfezionamento degli sforzi sino ad oggi compiuti e delle resistenze da superare per restituire alla P.A. il ruolo di robusto propulsore del superamento di una crisi non soltanto economica, ma anche sociale, culturale e storica. Al fine di portare a compimento il complesso progetto di rilancio della P.A., dunque, le osservazioni formulate dalla Corte dei Conti sui costi del lavoro pubblico possono costituire una fondamentale occasione per la ricerca delle strategie e degli strumenti più idonei a supportare il cammino intrapreso verso la ripresa e la crescita di un Paese, quale l’Italia che, sebbene attanagliato in una delle congiunture più difficili ed impegnative della sua storia, può tornare ad essere un “grande” Paese. 

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info@codexa.it (di Roberta Bruno) Riforma P.I. Thu, 31 May 2012 07:01:26 +0000
Modifiche ed integrazioni alla riforma Brunetta http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./modifiche-ed-integrazioni-alla-riforma-brunetta.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./modifiche-ed-integrazioni-alla-riforma-brunetta.html Modifiche ed integrazioni alla riforma Brunetta:

il decreto correttivo del 1° agosto 2011 n. 141 

di Roberta Bruno  

Nell’ambito dell’intensa stagione di sostanziale riscrittura del sistema del lavoro pubblico culminata con la c.d. riforma Brunetta, il d.lgs. del 1° agosto 2011 n. 141, in vigore dal 06 settembre 2011, ha introdotto significative modifiche al d.lgs. n. 150/2009 e, quindi, al d.lgs. n. 165/2001.

In via di prima approssimazione, va evidenziato che le principali innovazioni apportate dal legislatore del 2011 riguardano la suddivisione in fasce di merito del personale ai fini della distribuzione del trattamento economico accessorio legato alla performance, l’immediata applicabilità delle disposizioni  previste dal d.lgs. n. 150/2009 in tema di relazioni sindacali ed i limiti al conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001.

Invero, la novità di maggior rilievo relativa al sistema premiale del personale dipendente e dirigente riguarda il rinvio dell’applicazione della differenziazione retributiva per fasce di merito prevista dall’art. 19, commi 2 e 3, e dall’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 150/2009 a decorrere dalla stipula del nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro, ossia successivamente alla tornata contrattuale relativa al quadriennio 2006-2009. Al riguardo, va tuttavia evidenziato che il medesimo art. 6 del d.lgs. n. 141/2011 consente di utilizzare, nelle more dei menzionati rinnovi contrattuali, le eventuali economie aggiuntive destinate all’erogazione dei premi di cui all’art. 16, comma 5, d.l. n. 98/2011, convertito dalla l. n. 111/2011 (cd. manovra estiva).

Alla luce del decreto correttivo, le fasce di merito sono immediatamente applicabili limitatamente al fine di  ripartire le risorse aggiuntive previste dal citato d.l. n. 98/2011 e derivanti dai risparmi realizzati dai singoli enti sulla base di specifici piani. Peraltro, il d.lgs. n. 141/2011 ha modificato l’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 150/2009 sancendo la non applicabilità del sistema premiale a fasce negli enti locali in cui il numero dei dipendenti in servizio non sia superiore a quindici e il numero dei dirigenti non sia superiore a cinque. Tuttavia vengono confermati i principi di selettività, premialità e meritocrazia mediante la previsione dell’obbligo di garantire l’attribuzione selettiva della quota prevalente delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance.

In riferimento alla questione dell’immediata applicabilità delle disposizioni previste dal d.lgs. n. 150/2009 in materia di relazioni sindacali, l’art. 5 del decreto correttivo della riforma  ha invece introdotto una disciplina interpretativa con efficacia retroattiva, quale risposta alle numerose interpretazioni giudiziali da ultimo intervenute e concluse con declaratoria di antisindacalità della condotta del datore di lavoro pubblico (si veda, tra le altre, l’ordinanza del Tribunale di Verona del 2 maggio 2011).

Più precisamente, il legislatore, fornendo un’interpretazione autentica sul contenuto dell’art. 65, commi 1, 2 e 4, del d.lgs. n. 150/2009, ha chiarito che i contratti collettivi decentrati integrativi in corso alla data di entrata in vigore del predetto decreto necessitavano di adeguamento entro il 31 dicembre 2010 (per le p.a. statali), mentre ai contratti stipulati successivamente al 15 novembre 2009 si applicano le regole dettate dal medesimo d.lgs. n. 150/2009.Inoltre, in riferimento all’art. 65, comma 5, del d.lgs. n. 150/2009 viene affermata l’immediata applicabilità, a decorrere dal 15 novembre 2009, di tutte le disposizioni in tema di contrattazione sindacale nazionale e integrativa contenute nel titolo IV del Capo IV del d.lgs. n. 150/2009, nonché negli artt. 34 e 54 del d.lgs. n. 150/2009, modificativi degli artt. 2, 5 e 40 del d.lgs. n. 165/2001.

Di contro, le disposizioni relative al procedimento negoziale di approvazione dei contratti collettivi nazionali e, in particolare, quelle contenute nell’art. 41, commi da 1 a 4, nell’art. 46, commi da 3 a 7, e nell’art. 47 del d.lgs. n. 165/2001, come modificato dal d.lgs. n. 150/2009, sono applicabili a decorrere dalla tornata contrattuale successiva a quella in corso al 15 novembre 2009, data di entrata in vigore dello stesso d.lgs. n. 150/2009.

Il decreto correttivo ha introdotto, altresì, disposizioni di notevole interesse per il personale dirigente degli enti locali: in particolare, le novità relative agli incarichi dirigenziali a contratto sono previste dal nuovo comma 6-quater dell’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001 e riguardano la possibilità, per gli enti locali collocati nella classe di virtuosità più alta, di estendere fino alla percentuale del 18% della dotazione organica dirigenziale a tempo indeterminato il numero degli incarichi dirigenziali a contratto conferibili ai sensi dell’art. 110, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000.

Viene quindi confermata l’applicabilità della percentuale dell’8% di cui all’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001  per il conferimento degli incarichi dirigenziali a tempo determinato nel caso in cui gli enti locali non raggiungano i descritti parametri di elevata virtuosità.

Al riguardo va inoltre precisato che la possibilità di avvalersi di dirigenti a tempo determinato fino alla predetta percentuale del 18% riguarda soltanto le amministrazioni soggette a patto di stabilità ed è subordinata all’emanazione di un apposito decreto ministeriale volto a stabilire e disciplinare le diverse classi di virtuosità, così come previsto dall’art. 20, comma 3, del d.l. n. 98/2011.

Peraltro, mediante la disciplina transitoria contenuta nell’art. 6 del d.lgs. n. 141/2011, vengono fatti salvi, fino alla loro scadenza, i contratti a tempo determinato stipulati anteriormente al 9 marzo 2011 che abbiano superato le previsioni dell’8%, purchè conformi alle limitazioni finanziarie sulla spesa del personale e sull’utilizzo dei contratti a termine. Le conseguenze applicative delle descritte integrazioni alla riforma assumono, dunque, un rilievo significativo nell’ambito del complesso progetto di rilancio della PA, in quanto, come è evidente, costituiscono un intervento risolutivo di annose questioni relative proprio alle chiavi di volta su cui è incentrata la riforma del lavoro pubblico, quali le relazioni sindacali, il sistema delle fasce di merito e l’accesso alla dirigenza pubblica.

L’applicazione nel tempo delle nuove disposizioni normative emanate ha consentito, infatti, l’individuazione delle criticità del sistema riformatore e, conseguentemente, l’opportuna formulazione di interventi normativi chiarificatori, presupposti indefettibili per la prosecuzione del percorso estremamente ampio di riforma del lavoro pubblico e di complessivo rinnovamento dell’apparato amministrativo italiano. 

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info@codexa.it (di Roberta Bruno) Riforma P.I. Wed, 19 Oct 2011 15:03:33 +0000
Il contratto di lavoro a tempo parziale nel pubblico impiego http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./il-contratto-di-lavoro-a-tempo-parziale-nel-pubblico-impiego.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./il-contratto-di-lavoro-a-tempo-parziale-nel-pubblico-impiego.html IL LAVORO A TEMPO PARZIALE NEL PUBBLICO IMPIEGO

di Mario Di Corato

in rivista giuridica telematica www.dirittodeilavori.it, Anno V n. 1, febbraio 2001, Cacucci Editore Bari

 

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info@codexa.it (di Mario di Corato) Riforma P.I. Tue, 01 Mar 2011 10:30:49 +0000
Interventi del Collegato nel pubblico impiego http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./interventi-del-collegato-nel-pubblico-impiego.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./interventi-del-collegato-nel-pubblico-impiego.html Interventi del Collegato nel pubblico impiego

di Antonio Belsito

in

Il lavoro e le sue nuove regole. Breve commento al "Collegato lavoro"

Edito da Cacucci, Bari, 10 dicembre 2010

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info@codexa.it (di Antonio Belsito) Riforma P.I. Thu, 30 Dec 2010 09:50:01 +0000
La responsabilità disciplinare del dipendente pubblico http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./la-responsabilita-disciplinare-del-dipendente-pubblico.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./la-responsabilita-disciplinare-del-dipendente-pubblico.html           LA RESPONSABILITA' DISCIPLINARE DEL DIPENDENTE PUBBLICO

 di Annamaria Castellaneta 

Nell’ambito della c.d. riforma Brunetta di cui al d.lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009, il rilancio dell’efficienza della pubblica amministrazione passa anche attraverso una profonda modifica della disciplina inerente alle sanzioni disciplinari e alla responsabilità dei dipendenti, alla quale il d.lgs. n. 150/2009 dedica l’intero Capo V del titolo IV. L’obiettivo perseguito è di “potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici e di contrastare i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo”; il tentativo messo in atto è di rivitalizzare questa forma di responsabilità nel pubblico impiego, a fronte di un atteggiamento eccessivamente inerte delle P.A..

Anche in questo ambito, il riformatore incide sul rapporto legge-contratto collettivo, ampliando la disciplina legislativa e riducendo gli spazi lasciati alla fonte negoziale.

Al riguardo vengono in rilievo l’articolo 40, comma 2 e l’articolo 55, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, come riformulati dal d.lgs. n. 150/2009.

Nello specifico, l’art. 40 include la responsabilità disciplinare tra le materie nelle quali la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge.

A sua volta, l’art. 55, comma 2, precisa che il rinvio ai contratti collettivi per la definizione della “tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni” è subordinato al rispetto di “quanto previsto dalle disposizioni del presente Capo”: disposizioni che il primo comma dello stesso articolo definisce come “norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, co. 2, del codice civile”. Tali norme, pertanto, non sono derogabili da parte della contrattazione collettiva o individuale e le eventuali pattuizioni difformi da esse sono nulle e devono essere integralmente sostituite con le norme imperative violate. Proprio in relazione a ques’ultima previsione è stato evidenziato che “il legislatore, nel contrassegnare con il carattere di imperatività l’intera disciplina contenuta negli articoli da 55 a 55-octies, sembra sottolineare non solo il ruolo della legge, che diviene pervasivo e prevalente rispetto alla disciplina negoziale, ma anche il carattere obbligatorio che intende attribuire all’esercizio del potere disciplinare”.[1]

Occorre precisare che il nuovo sistema delle fonti delineato dall’attuale assetto normativo riguarda sia i profili sostanziali, imponendo ex lege, con carattere di inderogabilità, specifiche sanzioni in relazione a determinate infrazioni, sia la disciplina del procedimento disciplinare che, ormai, è essenzialmente  rimessa alla normativa eteronoma.

Sul primo versante viene in rilievo il nuovo art. 55-quater del d.lgs. n. 165/2001 che individua le infrazioni all’accertamento delle quali deve conseguire l’irrogazione della sanzione espulsiva del licenziamento, facendo salve la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, nonché le ulteriori ipotesi previste dai contratti collettivi. Si vuole così evitare che l’amministrazione applichi sanzioni disciplinari troppo lievi a fronte di condotte particolarmente gravi dei dipendenti. In particolare, è previsto il licenziamento senza preavviso nei seguenti casi: falsa attestazione della presenza in servizio mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia; falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera; reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui; condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro. È, invece, previsto il licenziamento con preavviso nel caso di assenza ingiustificata per un periodo superiore a tre giorni, anche non continuativi, nell’arco di un biennio e nel caso di ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto per motivate esigenze di servizio.

Il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l’amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale, una valutazione di insufficiente rendimento.

In relazione a ciò è stato opportunamente osservato che “la responsabilità disciplinare dovrebbe avere una funzione correttiva e preventiva: dovrebbe mirare innanzitutto a sanzionare i comportamenti scorretti, per evitare che si ripetano o degenerino e per indurre i dipendenti a comportarsi più correttamente. Il licenziamento, da questo punto di vista, rappresenta la più intensa forma di esercizio del potere disciplinare, ma anche il suo fallimento. L’enfasi sulle ipotesi di licenziamento disciplinare, quindi, tradisce un atteggiamento eccessivamente punitivo: non è di un maggior numero di licenziamenti che ha bisogno il pubblico impiego italiano, ma semmai di un maggior numero di sanzioni di lieve entità”.[2]

Alle nuove sanzioni penali provvede, poi, l’art. 55-quinques che stabilisce la reclusione da uno a cinque anni e la multa da 400 a 1.600 euro per il dipendente, nonché per il medico o chiunque altro concorra alla commissione del delitto, per falsa attestazione, con modalità fraudolente, della presenza in servizio o per falso certificato di malattia. Per tali comportamenti il lavoratore, oltre a subire le sanzioni collegate alla responsabilità penale e disciplinare, è obbligato a risarcire i danni subiti dall’amministrazione: il danno patrimoniale, misurato in base alle retribuzioni corrisposte per i periodi di mancata prestazione, e il danno all’immagine. Per il medico invece, a seguito della sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui sopra, è prevista la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo, nonché il licenziamento per giusta causa se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o la decadenza dalla convenzione con il servizio sanitario nazionale; la stessa pena è prevista se rilascia certificazioni che attestano dati clinici non constatati e documentati.

Il successivo art. 55-sexies prende invece in considerazione le condotte pregiudizievoli per l’amministrazione. Nello specifico, il primo comma riguarda l’ipotesi in cui il dipendente, violando gli obblighi concernenti la propria prestazione di lavoro, cagioni danni a terzi, determinando la condanna dell’ente di appartenenza al relativo risarcimento. In tal caso è prevista la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all’entità del risarcimento e purché non ricorrano i presupposti per l’applicazione di un’altra sanzione disciplinare.

Il secondo comma dello stesso articolo regola, invece, una fattispecie differente. Esso, infatti, prende in considerazione il caso in cui il dipendente, con la propria condotta,  cagioni un grave danno al normale funzionamento dell’ufficio di appartenenza. In tal caso il lavoratore, all’esito del procedimento disciplinare che accerta la sua responsabilità, è collocato in disponibilità. Peraltro, sarà il provvedimento che definisce il giudizio disciplinare a stabilire le mansioni e la qualifica per le quali può avvenire l’eventuale ricollocamento.

Il d.lgs. n. 150/2009 procede, inoltre, ad una completa riscrittura della disciplina che regola il procedimento disciplinare nel pubblico impiego, al dichiarato fine di semplificare le procedure e di razionalizzare i tempi. Alla contrattazione collettiva è ormai rimessa solo la disciplina del rimprovero verbale, anche se, come è stato opportunamente segnalato, “disciplinare il rimprovero verbale è un po’ come disciplinare il modo in cui il vigile urbano si rivolge agli automobilisti e compie i gesti necessari per governare il traffico”.[3] In questa materia la norma cardine del sistema è data dal nuovo art. 55bis del d.lgs. n. 165/2001 che prevede due tipi di procedimento: il primo tipo, più semplice e veloce, si applica alle infrazioni di minore gravità (quelle punibili con sanzioni superiori al rimprovero verbale e inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni), sempre che il responsabile della struttura abbia qualifica dirigenziale; il secondo tipo si applica alle infrazioni punibili con sanzioni più gravi, ovvero ad ogni tipo di infrazione qualora il responsabile della struttura non abbia qualifica dirigenziale. In entrambi i casi i termini previsti hanno carattere perentorio: la loro violazione comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare; per il dipendente, la decadenza dall’esercizio del diritto di difesa. In relazione al primo tipo di procedimento, il comma 2 dell’art. 55-bis prevede che il responsabile con qualifica dirigenziale della struttura in cui il dipendente lavora, avuta notizia della presunta infrazione, senza indugio e comunque non oltre venti giorni, debba contestare per iscritto l’addebito al dipendente e debba convocarlo per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di dieci giorni. Il dipendente può presentarsi assistito da un procuratore o da un rappresentante dell’associazione sindacale, ma può anche limitarsi ad inviare una memoria scritta. Espletata l’eventuale ulteriore attività istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione entro un termine massimo di 60 giorni dalla contestazione dell’addebito. La seconda procedura (regolata dal  comma 4 dell’art. 55-bis) è invece svolta dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, individuato da ciascuna amministrazione secondo il proprio regolamento. Entro cinque giorni dalla notizia del fatto il responsabile della struttura trasmette gli atti a questo ufficio, dandone contestuale notizia all’interessato. L’u.p.d. procede come previsto nel secondo comma, ma con un raddoppio di termini allorché si tratti di applicare le sanzioni più gravi. Il procedimento deve essere comunque proseguito sia in caso di trasferimento che di dimissioni del dipendente, in ossequio al principio di dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare, nonché per evitare che tali eventi si traducano in strumenti di elusione delle norme. Il legislatore della riforma interviene in maniera incisiva anche in tema di soluzione stragiudiziale delle controversie in materia disciplinare. Infatti, l’art. 7, co. 2, lett. o), della legge delega n. 15/2009 prescrive di abolire i collegi arbitrali di disciplina, a causa di un atteggiamento eccessivamente tollerante da essi mostrato in passato nei confronti dei lavoratori; prevede altresì di vietare espressamente di istituirli in sede di contrattazione collettiva.

A sua volta, il d.lgs. 150 consente alla contrattazione collettiva, a cui è preclusa l’istituzione di procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari, di regolamentare procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione espulsiva, da instaurasi e concludersi entro trenta giorni dalla contestazione dell’addebito e comunque prima dell’irrogazione della sanzione (con sospensione dei termini del procedimento disciplinare durante lo svolgimento della conciliazione). La sanzione determinata concordemente dalle parti all’esito di tali procedure non può essere di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione. È da ritenere che in tal modo il legislatore abbia voluto sostituire il c.d. patteggiamento, previsto dal  comma 6 del vecchio art. 55.

Merita, inoltre, un giudizio positivo la nuova disciplina del rapporto tra procedimento disciplinare e processo penale. Infatti, il previgente assetto regolamentare imponeva in modo quasi assoluto la sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare, quando l’illecito disciplinare si configurava anche come illecito penale. Ora, invece, il nuovo art. 55-ter del d.lgs. 165/2001 prevede espressamente che il procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti rispetto ai quali è in corso un’indagine dell’autorità giudiziaria, debba proseguire ed essere concluso anche in pendenza del procedimento penale. In tal modo il riformatore ha inteso riconoscere la piena autonomia delle due procedure, al fine di evitare che la pendenza del processo penale e il suo protrarsi nel tempo possano bloccare l’esercizio del potere disciplinare. In particolare, il principio enunciato opera in maniera diversa, in relazione alla gravità delle infrazioni oggetto del procedimento disciplinare. Infatti, mentre per le infrazioni di minore gravità non è ammessa la sospensione del procedimento disciplinare, per le infrazioni di maggiore gravità l’ufficio per i procedimenti disciplinari ha la mera facoltà di sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, ferma restando la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti dell’incolpato, e ciò nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato e quando all’esito dell’istruttoria non disponga di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione. Inoltre, al fine di evitare difformità tra gli esiti dei due procedimenti, la legge prevede la possibilità di riaprire il procedimento disciplinare che si sia concluso prima di quello penale, per adeguarne l’esito a quello di quest’ultimo. La riapertura è d’ufficio se l’esito del procedimento penale è meno favorevole al dipendente, a istanza di parte se esso è più favorevole.

Occorre a questo punto segnalare che alla responsabilità disciplinare del dipendente pubblico risulta strettamente correlata la responsabilità dirigenziale. Per un verso, come visto, il legislatore della riforma attribuisce al dirigente un più ampio potere sanzionatorio diretto, consentendogli di gestire autonomamente gran parte dei procedimenti disciplinari che coinvolgono i propri dipendenti, diversamente dal vecchio regime in cui la sua competenza era limitata solo alla sanzione del rimprovero verbale e alla censura. A ciò si aggiunga che l’art. 55-sexies, co. 4, limita ai casi di dolo e colpa grave la responsabilità civile del dirigente in relazione all’esercizio dell’azione disciplinare: si vuole così evitare che il dirigente rinunci all’azione disciplinare per il timore di dover subire conseguenze economiche pregiudizievoli.  Ma per altro verso e, potremmo aggiungere, paradossalmente, il legislatore obbliga il dirigente a procedere all’azione disciplinare, sanzionandolo in caso di violazione dell’obbligo. Infatti, l’art. 55-sexies, co. 3, prevede che i dirigenti che si rendono responsabili del mancato esercizio e della decadenza dell’azione disciplinare – per l’omissione o il ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o per valutazioni dell’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare – debbano subire la sospensione dal servizio senza retribuzione, in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi per infrazioni sanzionabili con il licenziamento, oltre alla privazione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione. Tali sanzioni si applicano anche ai responsabili di struttura e ai dirigenti preposti all’amministrazione generale del personale qualora omettano di adempiere ai compiti loro attribuiti dalle norme relative ai controlli sulle assenze. Inoltre, si applica anche ai dirigenti (oltre che ai lavoratori dipendenti) la sanzione della sospensione dal servizio senza retribuzione fino ad un massimo di quindici giorni, prevista dall’art. 55-bis, co. 7, per coloro che rifiutino, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta per l’acquisizione di prove utili ad un giudizio disciplinare, oppure rendano dichiarazioni false o reticenti. È altresì prevista la decadenza del diritto del dirigente alla corresponsione della retribuzione di risultato nel caso di mancato avvio del procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti, nei casi in cui sarebbe stato dovuto, oltre che nel caso di omessa vigilanza sulla effettiva produttività delle risorse umane assegnate e sull’efficienza della relativa struttura.

Alla luce dell’analisi sin qui svolta, occorre segnalare talune perplessità. Innanzitutto, suscita dubbi la stretta correlazione che intercorre tra la scarsa produttività del lavoro pubblico e la valorizzazione delle procedure disciplinari. Infatti, è da ritenere che non si possa fare del “bastone” il vero strumento per porre rimedio allo scarso impegno dei pubblici dipendenti: un serio progetto di rilancio e ottimizzazione del lavoro pubblico deve necessariamente passare attraverso l’elaborazione di tecniche e misure capaci di condurre ad una rivoluzione di tipo culturale dei pubblici impiegati, inducendo questi ultimi a modificare il proprio modus operandi. Occorre, dunque, puntare sull’investimento motivazionale, che rappresenta un elemento chiave per la crescita di un’organizzazione impegnata nella sfida dell’eccellenza.

In secondo luogo, suscita dubbi la decisione di ridurre l’ambito di regolamentazione della contrattazione collettiva in spazi che, anche nel settore privato, sono di sua competenza. Peraltro, molte delle nuove prescrizioni legislative ricalcano analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi.

Infine, la scelta legislativa di guidare e vincolare i dirigenti nell’uso del potere disciplinare si pone in netto contrasto con il dichiarato obiettivo di ampliare l’autonomia e i poteri del dirigente. In questa scelta hanno indubbiamente pesato gli atteggiamenti di eccessiva e immotivata tolleranza o di inerzia tenuti in passato dai dirigenti. In questo modo, però, si finisce per togliere al dirigente la piena discrezionalità nell’esercizio del potere disciplinare, che è un fondamentale complemento del potere direttivo, e, pertanto, si allontana il dirigente pubblico dal modello del privato datore di lavoro. Ne discende che, “come nella fase anteriore alla privatizzazione, il procedimento disciplinare appare spesso espressione della pretesa punitiva dell’autorità pubblica più che dell’interesse privato del datore di lavoro”.[4]



[1] L. ZOPPOLI (a cura di), Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Editoriale scientifica, Napoli, 2009, p. 408.

[2] B.G. MATTARELLA, La responsabilità disciplinare, in Giornale di diritto amministrativo, 2010, n. 1, p. 35.

[3] B.G. MATTARELLA, cit., p. 36.

[4] B.G. MATTARELLA, cit., p. 38.

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info@codexa.it (di Annamaria Castellaneta) Riforma P.I. Thu, 30 Sep 2010 19:35:12 +0000
Misure di contenimento della spesa del lavoro pubblico http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./misure-di-contenimento-della-spesa-del-lavoro-pubblico.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./misure-di-contenimento-della-spesa-del-lavoro-pubblico.html D.L. 31 maggio 2010, n. 78

Misure di contenimento della spesa del lavoro pubblico 

di Roberta Bruno 

Il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, coordinato con la legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», per espressa affermazione del legislatore si colloca «nell’ambito degli interventi tesi a ridurre la spesa per redditi da lavoro dei dipendenti pubblici, in considerazione dell’eccezionalità della situazione economica internazionale ed al fine di salvaguardare gli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea».

Le principali novità relative al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego riservano ai lavoratori pubblici un significativo sacrificio in termini economici imponendo misure che incidono pesantemente sulle loro retribuzioni bloccate per i prossimi anni.

In particolare l’art. 9 del d.l. n. 78/2010, al comma 1, prevede che  «per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio […] non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell’anno 2010», fatta salva l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale.

Inoltre, il comma 17 dello stesso articolo sancisce il “blocco” della contrattazione prevedendo che per il personale pubblico non debba aver luogo alcun rinnovo contrattuale nel triennio 2010-2012. Viene, quindi, confermata la linea già emersa in precedenti atti legislativi (Legge Finanziaria per il 2006, d.l. 112/2008 convertito nella l. n. 133 del 2008) che provvedono a ridurre le risorse utili in materia di trattamenti economici depotenziando la contrattazione integrativa[1].

A fondamento delle misure descritte vi è l’analisi dei dati contenuti nel rapporto semestrale sulle retribuzioni del pubblico impiego attraverso cui si è evidenziato che le dinamiche retributive dei dipendenti pubblici, negli ultimi dieci anni, hanno avuto una crescita pari al 39,7 per cento, a differenza di quelle del settore privato la cui percentuale di crescita è stata del 25,7 per cento. Il menzionato rapporto, inoltre, ha messo in evidenza che i contratti di lavoro del pubblico impiego nell’ultimo biennio si sono allineati al tasso di inflazione programmata del 3,2 per cento e che il blocco dei contratti previsto dal comma 17 dell’art. 9 del d.l. 78/2010, comporterà minori spese per 6,5 miliardi di euro, contribuendo a realizzare una sostanziale parità delle curve di crescita retributiva tra pubblico e privato nel 2013.

Dunque, si tratta di un provvedimento attraverso cui viene imposto un tetto al trattamento economico individuale che può essere erogato nei prossimi anni ai singoli dipendenti pubblici, evidentemente considerati dal legislatore quali lavoratori privilegiati e fortunati in quanto beneficiari di una pressoché assoluta garanzia del posto di lavoro.

Tra gli interventi più incisivi volti al contenimento della spesa rientra anche la previsione di cui al comma 2 del citato art. 9 in base alla quale, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013, i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale «superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro».

Inoltre, i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari di incarichi dirigenziali non possono essere stabiliti in misura superiore rispetto al contratto stipulato dal precedente titolare ovvero, in caso di rinnovo, dal medesimo titolare.

La finalità del contenimento della spesa pubblica è perseguita, altresì, anche attraverso la misura introdotta dall’art. 12, comma 7, consistente nella rateizzazione della buonuscita per i lavoratori alle dipendenze delle PA: il riconoscimento del trattamento di fine rapporto o di ogni indennità equipollente spettante a seguito della cessazione dall’impiego sarà infatti effettuato in un’unica soluzione solo se il suo ammontare non è superiore ai 90.000 euro, in due tranche se è compreso tra i 90.000 e i 150.000 euro e in tre rate annuali se è superiore o uguale a 150.000 euro.

Peraltro, ai sensi dell’art. 12, comma 10, con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011, per i pubblici impiegati il computo dei trattamenti di fine servizio comunque denominati verrà effettuato in base a quanto previsto dall’art. 2120 c.c. con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento.

La Manovra finanziaria per l’anno 2010 ha inciso, altresì, sull’istituto della concessione – resa facoltativa dal d.l. 112/2008, art. 72 – del trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici per il periodo massimo di un biennio otre i limiti d’età: a decorrere dal 1° gennaio 2011, infatti, i prolungamenti del servizio  potranno essere disposti esclusivamente nell’ambito delle facoltà assunzionali previste dal legislatore vigente in base alle cessazioni del personale dell’anno precedente. Come evidenziato dai primi commentatori, ne conseguirà un’utilizzazione estremamente ridotta dell’istituto dei trattenimenti in servizio, dovendo questi essere considerati, «sul piano squisitamente finanziario, come nuove assunzioni»[2].  

A quest’ultimo proposito va evidenziato che sono state introdotte numerose disposizioni in materia di riduzione degli organici e limitazioni del reclutamento che, a decorrere dal 1° gennaio 2011, comporteranno nuovi e più drastici limiti per le assunzioni a tempo indeterminato.

In particolare, in applicazione del principio del turn over, per il triennio 2011-2013 è stata prevista la possibilità per le PA di procedere alle assunzioni solamente nel limite del 20 per cento delle cessazioni dell’anno precedente. Tale percentuale – che si applicherà a decorrere dal 1° gennaio 2011 con riferimento alle cessazioni verificatesi nel 2010 – per gli enti locali è correlata non al numero dei dipendenti cessati ma al costo di essi. Più precisamente, gli enti con una percentuale del rapporto tra spese del personale e spese correnti inferiore al 40 per cento, potranno procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente. Diversamente, per gli enti in cui le spese del personale incidono sulle spese correnti in misura pari o superiore al 40 per cento è sancito il divieto – già introdotto con il d.l. 112/2008 in percentuale diversa – di procedere all’assunzione di personale a qualunque titolo.

Come evidenziato da autorevole dottrina in merito alle conseguenze applicative discendenti da siffatte disposizioni,  «il 20 per cento costituisce una misura estremamente bassa per assumere. Basti pensare che un dipendente di un ente locale di categoria C ha un costo per un lavoro a tempo pieno e per tutto l’anno di circa 30mila euro, comprensivo di oneri. In caso di cessazione di tale dipendente si potranno di fatto spendere solamente 6mila euro, ovvero una spesa davvero limitatissima. Viene da chiedersi come faranno, soprattutto i piccoli enti, a gestire i servizi e le attività che il legislatore ancora attribuisce alle autonomie» [3].

Peraltro, la sanzione del divieto di assunzione già prevista dall’art. 76 del d.l. 112/2008 per il mancato rispetto del patto di stabilità, con la manovra estiva in commento è stata sancita anche per gli enti locali che non rispettino l’obbligo di riduzione delle spese di personale ai sensi del comma 557 della Legge Finanziaria 2007, così come riscritto dal d.l. 78/2010.

Invero, sebbene l’analisi delle citate disposizioni evidenzi come il legislatore abbia affidato all’applicazione delle nuove le misure introdotte l’ambiziosa finalità di porre rimedio alla grave situazione della finanziaria del Paese, il dettato normativo presenta dei gravi ed irrisolti problemi di compatibilità con il dettato costituzionale. In particolare, di stampo incostituzionale può essere considerata la previsione contenuta nell’ultimo periodo del comma 21 dell’art. 9 in base alla quale «per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». Infatti, la conservazione del medesimo trattamento economico sarebbe possibile solo ove al riconoscimento giuridico non corrisponda un mutamento di mansioni in quanto l’art. 36 Cost. prescrive la corresponsione di una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità di lavoro. Peraltro, il medesimo comma 21 appare foriero di evidenti disparità di trattamento relativamente all’esito dei concorsi pubblici con riserva al personale interno in percentuale del 50 per cento: infatti, mentre è stato previsto che ai candidati vincitori esterni all’amministrazione debba essere corrisposto un trattamento economico corrispondente alla categoria per cui il concorso è stato bandito, ai dipendenti già in servizio presso l’ente che partecipino come riservatari – o, addirittura, come esterni perché privi dei requisiti temporali necessari per usufruire della riserva – pur essendo vincitori, dovrebbe spettare il solo passaggio giuridico e non anche quello economico, con evidente lesione dei principi di uguaglianza e proporzionalità della retribuzione.  

Alla luce della disamina sin qui operata delle principali misure di contenimento della spesa introdotte in materia di pubblico impiego, è ben evidente che siamo in presenza di disposizioni che, pur essendo informate al principio del coordinamento della finanza pubblica, dettano vincoli assai penetranti incidendo in modo significativo sulle scelte che le singole amministrazioni dovranno effettuare.

In particolare, talune disposizioni della Manovra  finanziaria per l’anno 2010 dettate in materia di pubblico impiego, inserendosi nel solco già tracciato dal d.lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 (c.d. riforma Brunetta), sembrano essere espressione di quei  canoni di politica legislativa che, nel perseguimento della finalità di riduzione dei costi della pubblica amministrazione, giunge a considerare la generalità dei lavoratori pubblici quasi esclusivamente come un “peso” finanziario incapace di essere adeguatamente produttivo.

Tuttavia, un’esegesi molto attenta ai principi su cui è incardinato l’impianto complessivo della riforma del lavoro pubblico ha evidenziato in merito all’attuale quadro normativo vigente che «se, da un lato, vengono proposti e imposti alle amministrazioni sistemi di incentivazione del personale, che evidentemente si basano sulla considerazione che i dipendenti pubblici possano migliorare se correttamente stimolati e incentivati, dall’altra vengono disposte misure che mortificano la categoria e che certo non spingono a far meglio» [4].

Viene dunque a profilarsi il rischio di contraddittorietà delle misure da ultimo introdotte nell’ordinamento del lavoro pubblico, in quanto difficilmente potrà essere ridotta la spesa pubblica derivante dai redditi da lavoro dipendente senza compromettere l’incentivazione di comportamenti virtuosi dei dipendenti stessi.

In un atteggiamento che non si pretende idealistico ma quantomeno non vessatorio nei confronti dei dipendenti pubblici pare doveroso riconoscere che nell’ambito di essi esistano pur sempre dei lavoratori seri e onesti, anch’essi immolati insieme ai cd. “fannulloni” come capri espiatori sull’altare di un’incessante campagna mediatica volta a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle reali cause del possibile tracollo finanziario del Paese.

Al fine di portare a compimento il complesso progetto di rilancio e ottimizzazione del lavoro pubblico, dunque, è indispensabile il superamento di tale clima culturale, inutilmente frustrante e demotivante, basato su pregiudizi qualunquistici e superficiali espressi nei confronti dei lavoratori pubblici, la cui profonda trasformazione comportamentale è collegata soprattutto alla creazione di condizioni sociali e culturali tali da poter generare una reale affezione al lavoro, vero fondamento ineludibile nel processo di modernizzazione dell’apparato amministrativo italiano.

     


[1] M. Tiraboschi, La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare 2008, Giuffrè, Milano, 2008, 473e ss..

[2] M. Barilà, Al posto di una riforma vera solo “rimedi destrutturati”  in Guida al Pubblico impiego, Il Sole 24ore, 2010, n. 6, 37.

[3] G. Bertagna,  Meno 400mila in 3 anni con il turn over “rinforzato”, in Guida al Pubblico impiego, Il Sole 24ore, 2010, n. 6, 29.

[4] F. Verbaro, Una manovra che riduce la spesa “buona” e disincentiva il personale in Guida al Pubblico impiego, Il Sole 24ore, 2010 n. 7/8, 3.

 

NORMATIVA DI RIFERIMENTO:

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info@codexa.it (di Roberta Bruno) Riforma P.I. Mon, 06 Sep 2010 17:35:20 +0000
Assenze dal servizio dei pubblici dipendenti http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./assenze-dal-servizio-dei-pubblici-dipendenti.html http://www.csddl.it/csddl/riforma-p.i./assenze-dal-servizio-dei-pubblici-dipendenti.html ASSENZE DAL SERVIZIO DEI PUBBLICI DIPENDENTI

 

di Mario Di Corato

 

Con il D.L. 27 ottobre 2009 n. 150 sono state introdotte misure finalizzate a contrastare il fenomeno dell’assenteismo nelle pubbliche amministrazioni e nel contempo incrementare la produttività nel settore pubblico.

Al fine di chiarire alcune fattispecie poste in essere dalle amministrazioni interessate il ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione ha recentemente fornito alcune indicazioni al riguardo.

 

1. False attestazioni o certificazioni

Il pubblico dipendente che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a 5 anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600.

La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del reato.

Inoltre il dipendente è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari alla retribuzione  corrisposta per il periodo di mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subito dall’amministrazione.

La suddetta fattispecie comporta anche un illecito disciplinare regolato dall’art. 55 del D.L. n.165 del 2001 che prevede la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso.

La relativa sentenza di condanna comporta, altresì, per il medico la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo con tutte le conseguenze relative, quali: se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il S.S.N., il licenziamento per giusta causa o la decadenza della convenzione.

Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico  rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati  e non desunti da visita in coerenza con la buona pratica medica né oggettivamente documentati.   

Per gli aspetti penali trovano  applicazione gli artt. 476 e ss. del c.p. sulla falsità degli atti.

 

2. Controlli delle assenze

Il Direttore dell’Ufficio ed il dirigente responsabile del personale, secondo le rispettive competenze, sono responsabili delle condotte assenteistiche – per malattia o false attestazioni – dei dipendenti della struttura.

Per il caso di inadempimento colposo rispetto a questo dovere di vigilanza la legge prevede la possibilità di comminare una sanzione a carico del dirigente consistente nella decurtazione della retribuzione di risultato sino all’80%, nonché la possibilità di erogare  le altre sanzioni disciplinari previste per il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare per omissioni del dirigente, quale la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, fino ad un massimo di 3 mesi.

 

 

* Fonte: Circolari del Ministero per la P.A. e l’Innovazione.  

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info@codexa.it (di Mario di Corato) Riforma P.I. Thu, 22 Jul 2010 17:49:19 +0000