Lavoratori parasubordinati - CSDDL.it - Centro Studi Diritto Dei Lavori Centro Studi Diritto dei Lavori - Bisceglie - A cura dell'Avv. Antonio Belsito e del Prof. Gaetano Veneto https://www.csddl.it/csddl/lavoratori-parasubordinati/atom-2.html 2021-03-24T10:04:34Z Joomla! 1.5 - Open Source Content Management Presentazione 2009-10-19T20:17:32Z 2009-10-19T20:17:32Z https://www.csddl.it/csddl/lavoratori-parasubordinati/presentazione.html Administrator info@codexa.it <p>La collaborazione coordinata e continuativa, individuata dalla tutela prevista nell'art. 409, n. 3 c.p.c., ha avuto particolare diffusione dalla seconda metà degli anni '90 sviluppandosi notevolmente nell'ambito della Pubblica Amministrazione.</p>La Legge Biagi del 2003 ha tentato di porre un freno vietando tale forma di lavoro parasubordinato per le aziende private, istituendo all'uopo il Contratto di Collaborazione a Progetto, voluto al fine di evitare, o quanto meno ridurre, gli abusi di questa forma di lavoro parasubordinato  <p>La collaborazione coordinata e continuativa, individuata dalla tutela prevista nell'art. 409, n. 3 c.p.c., ha avuto particolare diffusione dalla seconda metà degli anni '90 sviluppandosi notevolmente nell'ambito della Pubblica Amministrazione.</p>La Legge Biagi del 2003 ha tentato di porre un freno vietando tale forma di lavoro parasubordinato per le aziende private, istituendo all'uopo il Contratto di Collaborazione a Progetto, voluto al fine di evitare, o quanto meno ridurre, gli abusi di questa forma di lavoro parasubordinato  Direzione e coordinazione: le nuove forme di lavoro ai confini della subordinazione 2010-01-21T13:32:03Z 2010-01-21T13:32:03Z https://www.csddl.it/csddl/lavoratori-parasubordinati/direzione-e-coordinazione-le-nuove-forme-di-lavoro-ai-confini-della-subordinazione.html di Antonio Belsito info@codexa.it <p align="center"><strong>I LAVORI:</strong></p><h2 style="font-size: 16px" class="contentheading" align="center"><a href="attachments/177_Direzione%20e%20coordinazione.pdf"><strong>Direzione e coordinazione: le nuove forme di lavoro ai confini della subordinazione</strong></a></h2><p align="center">(da <a href="anno-i-n.-2/3.html">www.dirittodeilavori.it</a> Anno I, n. 2, ottobre 2007 ) </p> <p align="center"><strong>I LAVORI:</strong></p><h2 style="font-size: 16px" class="contentheading" align="center"><a href="attachments/177_Direzione%20e%20coordinazione.pdf"><strong>Direzione e coordinazione: le nuove forme di lavoro ai confini della subordinazione</strong></a></h2><p align="center">(da <a href="anno-i-n.-2/3.html">www.dirittodeilavori.it</a> Anno I, n. 2, ottobre 2007 ) </p> Operatori di call center 2009-11-19T14:11:31Z 2009-11-19T14:11:31Z https://www.csddl.it/csddl/lavoratori-parasubordinati/operatori-di-call-center.html di Clarenza Binetti info@codexa.it <p align="center"><strong>I LAVORI:</strong></p><p align="center"><a href="attachments/206_Operatori%20di%20call%20center.pdf"><strong>Operatori di call center. Natura subordinata del rapproto di lavoro anche per gli opertaori out bound</strong></a></p><p align="center"><strong>(da www.dirittodeilavori.it Anno II, n.1) </strong></p> <p align="center"><strong>I LAVORI:</strong></p><p align="center"><a href="attachments/206_Operatori%20di%20call%20center.pdf"><strong>Operatori di call center. Natura subordinata del rapproto di lavoro anche per gli opertaori out bound</strong></a></p><p align="center"><strong>(da www.dirittodeilavori.it Anno II, n.1) </strong></p> Lavoro a progetto: dalle finalità normative ai primi anni di applicazione giurisprudenziale 2009-11-11T19:59:11Z 2009-11-11T19:59:11Z https://www.csddl.it/csddl/lavoratori-parasubordinati/lavoro-a-progetto-tra-finalita-normative-e-prime-applicazioni-giurisprudenziali.html di Roberta Bruno info@codexa.it <p style="margin: 0cm 13.9pt 0pt 18pt; text-indent: 18pt; text-align: center" class="MsoNormal" align="center"><font color="#993366"><strong><em><span style="font-size: 14pt">Lavoro a progetto:</span></em></strong></font></p><p style="margin: 0cm 13.9pt 0pt 18pt; text-indent: 18pt; text-align: center" class="MsoNormal" align="center"><font color="#993366"><strong><em><span style="font-size: 12pt">dalle finalità normative ai primi anni di applicazione giurisprudenziale</span></em></strong></font></p><p style="margin: 0cm 13.9pt 0pt 18pt; text-indent: 18pt; text-align: center" class="MsoNormal" align="center"> </p><p align="justify"><font color="#000000">SOMMARIO: </font><font color="#000000">1. Premessa - 2. La definizione di “progetto” e di “programma” - 3. Conseguenze della non specificità del progetto nei contratti a progetto - 4. La casistica: rassegna giurisprudenziale di merito - 5. La natura assoluta o relativa della presunzione di subordinazione prevista dall’art. 69, comma 1, D.Lgs. 276/2003 - 6. Conclusioni<span>  </span></font></p><p align="justify"><strong><span style="font-size: 12pt"><font style="font-size: 12px" color="#000000">1. Premessa</font></span></strong></p><p align="justify"><font color="#000000">La crisi del mercato del lavoro e l'eccessivo costo del lavoro subordinato ad essa connesso hanno portato all’introduzione, nel nostro ordinamento come in altri sistemi occidentali, di forme di lavoro improntate al canone della flessibilità.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tali forme contrattuali, infatti, da un lato sono in grado di rendere l'offerta di lavoro più adattabile ai mutamenti del mercato e dall'altro, essendo ben lontane dal rigido schema del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, consentono al datore di lavoro di contenere il costo del lavoro<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[1]</span></span></span></span></span>.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">La forte istanza, anche di respiro europeo, di garantire più elevati livelli occupazionali ha ispirato la Legge n. 30 del 2003, dal cui decreto attuativo (D.Lgs. n. 276 del 2003, successivamente modificato con D.Lgs. n. 251 del 6 ottobre 2004) sono derivate sia nuove tipologie contrattuali, sia un'innovativa regolamentazione del lavoro parasubordinato incentrata sulla figura del collaboratore a progetto. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">La suddetta riforma del mercato del lavoro ha infatti integrato la disciplina della collaborazione coordinata e continuativa introducendo l'obbligo di collegare l'instaurazione del rapporto lavorativo alla realizzazione di <em>uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati</em>. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">In proposito va evidenziato che l’innovativa restrizione dei confini della parasubordinazione, dovuta all'introduzione da parte del legislatore degli elementi del progetto, programma di lavoro o fase di esso, è finalizzata ad impedire l’utilizzazione delle collaborazioni coordinate e continuative in funzione elusiva della normativa a tutela del lavoro subordinato.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Invero, è opinione diffusa e largamente condivisibile che la riforma Biagi si sia inserita in una situazione fortemente caotica del mercato del lavoro caratterizzata da un uso smodato da parte dell'imprenditoria dei contratti CO.CO.CO. allo scopo di eludere i vincoli derivanti dalle tutele normativamente previste a favore dei lavoratori subordinati.<span style="font-family: 'Trebuchet MS'"> </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Come rilevato da autorevole dottrina<span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Trebuchet MS'"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Trebuchet MS'">[2]</span></span></span></span></span></span>, la cd. Legge Biagi costituisce espressione del tentativo del legislatore di rafforzare la tutela dei collaboratori coordinati e continuativi, al fine di porre fine all’abuso delle collaborazioni, usate come “maschere” di rapporti subordinati e conferendo loro una nuova “dignità” normativa attraverso la disciplina delle collaborazioni a progetto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Al riguardo è necessario precisare, preliminarmente e in via di prima approssimazione, che ogni collaborazione coordinata e continuativa implica la sussistenza di precisi requisiti che devono connotare il rapporto di lavoro quali: l'assenza di un vincolo di subordinazione, la continuatività, la collaborazione, l'autonomia del collaboratore, il coordinamento, la personalità della prestazione resa a favore di un committente, la mancanza dell'impiego di mezzi organizzati e la retribuzione periodica prestabilità.<span>  </span></font></p><p align="justify"><span style="font-size: 9pt"><font color="#000000">Il lavoro a progetto rientra nell'ambito delle collaborazioni coordinate e continuative essendo caratterizzato, oltre che dal requisito essenziale di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, e dall'irrilevanza dell'articolazione del<span>  </span>tempo impiegato, anche dagli elementi che caratterizzano ogni rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. </font></span></p><p align="justify"><strong><span style="font-size: 12pt"><font style="font-size: 12px" color="#000000">2. La definizione di “progetto” e di “programma” </font></span></strong></p><p align="justify"><font color="#000000">Riguardo ai concetti di <em>progetto, programma</em> e<em> fase di esso</em>, il Ministero del Lavoro, già nella Circolare Min. Lav. 8/1/2004, n. 1, ha chiarito le caratteristiche degli elementi essenziali del lavoro a progetto, statuendo che il progetto consiste in un’attività ben identificabile e collegata ad un risultato finale connesso all'attività accessoria o principale dell'impresa; il programma, invece, consiste in un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale e si caratterizza per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Inoltre, poiché la<em> ratio</em> delle Legge 30/2003 è quella di contenere il ricorso alle forme di collaborazione coordinata e continuativa e le conseguenti fughe dallo schema del lavoro subordinato, il <em>progetto</em> deve essere contrassegnato dal requisito della eccezionalità, nel senso che deve consistere in un’attività non ordinariamente rientrante tra quelle normalmente svolte dai dipendenti del committente. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Alla luce di tali considerazioni, si ritiene di poter pienamente concordare con quella parte autorevole della dottrina che sottolinea che lo spazio e la sopravvivenza di questo nuovo tipo legale dipenderà in larga misura dal significato che sarà attribuito ai termini <em>“progetto specifico, programma o fase di esso</em>”<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[3]</span></span></span></span></span>.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Il progetto, infatti, va considerato come un’ideazione e come tale deve essere contrassegnato dal requisito della originalità o della eccezionalità, nell’accezione di attività non ordinariamente rientrante tra quelle normalmente svolte dai dipendenti del committente. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Conseguentemente, dovrebbe ritenersi legittimo il ricorso alla forma contrattuale in esame, ad esempio in presenza di situazioni produttive particolari che necessitano del coinvolgimento di soggetti forniti di specifiche competenze non presenti nell'organizzazione imprenditoriale.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tale opzione ermeneutica trova conferma in diverse pronunce di merito che hanno sottolineato che <em>“il contenuto caratterizzante l’effettivo<span>  </span>progetto va inteso come genuino apporto del prestatore di lavoro al committente di una capacità specialistica, di una collaborazione anche particolarmente circoscritta ad un segmento distinto della sua ampia organizzazione produttiva per la soddisfazione di esigenze particolari dell’andamento del ciclo di produzione ovvero anche in occasione di riassetto di esso. In altri termini il progetto allude al raggiungimento di un obiettivo particolare da attingere attraverso la collaborazione del prestatore e la sua attività consulenziale, ossia con un peculiare apporto ideativo, mentre il programma rimanda in maggior misura ad attività chiamate a realizzare una nuova modalità organizzativa e temporale della struttura del committente” </em>(Tribunale di Milano, 9 luglio 2009).</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Sulla necessità che al progetto di lavoro sia sotteso uno specifico obiettivo e risultato finale non coincidente con il risultato cui tende l’organizzazione del committente si è espresso anche il Tribunale di Modena secondo cui <em>“la costruzione del contratto di lavoro a progetto come obbligazione di risultato è quella più fondatamente legata al dato normativo ed alla ratio legis; il risultato non può essere quello cui tende l’organizzazione del committente quale interesse finale dell’impresa ma è quello dotato di una sua compiutezza ed autonomia ontologica, realizzato dal collaboratore con la propria prestazione e reso all’impresa quale adempimento della propria obbligazione”</em> (Tribunale di Modena del febbraio 2006).</font></p><p align="justify"><font color="#000000">A conferma dell’orientamento giurisprudenziale prevalente è stato, inoltre, evidenziato che <em>“ai fini della validità dei contratti a progetto, il progetto o programma di lavoro debbono essere specifici. Il progetto o il programma, per soddisfare il requisito della specificità, devono consistere in un’attività identificabile e collegabile ad un risultato finale o parziale che deve essere diverso da quello della prestazione del servizio fornito dalla società. Peraltro, non è sufficiente la mera descrizione di un obiettivo, essendo altresì necessario l’inquadramento organizzativo della prestazione del collaboratore, cioè l’individuazione dell’ambito di utilizzazione della collaborazione nella struttura aziendale. Questi due requisiti devono non solo sussistere, ma anche essere indicati nel testo contrattuale ai fini probatori” </em>(Tribunale di Trieste, 9 aprile 2009). </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Da ultimo, va menzionata la sentenza emanata dal Tribunale di Milano il 13 novembre 2008, nella quale si precisa che <em>"per mancata individuazione di un progetto, così come previsto dall'art. 61, comma 1, D.Lgs. 276/2003, si deve intendere sia la mancata individuazione formale del contenuto del progetto o programma sia la non configurabilità di un effettivo progetto, che deve essere adeguatamente descritto ed individuato come realizzazione di un preciso e circostanziato piano di lavoro o risultato”.</em></font></p><p align="justify"><font color="#000000"><strong style="font-size: 12px"><span style="font-size: 12px">3.<span style="font-size: 12px"> Conseguenze della non specificità del progetto nei contratti a progetto</span></span></strong></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Per i casi in cui manchi uno specifico progetto la sanzione normativamente prevista (art. 69, comma 1) è la conversione del contratto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dal momento in cui esso ha avuto inizio. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">In relazione a tale evenienza, l’orientamento giurisprudenziale prevalente ha applicato il citato art. 69 del D.Lgs. 276/2003 ribadendo l’essenzialità dell’elemento del progetto, la cui non effettività o pretestuosità determina, in funzione marcatamente sanzionatoria, automaticamente l’attrazione del rapporto lavorativo nell’ambito della figura del lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c..</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Più precisamente, è stato evidenziato che “<em>la mancanza del progetto nel contratto di lavoro a progetto può consistere sia nell’assenza di un formale progetto sia nella non configurabilità di un effettivo progetto, ove il progetto si limiti alla semplice indicazione dell’attività svolta dal committente. In tal caso, infatti, non si può escludere l’esercizio di un potere direttivo da parte del committente, né si può rinvenire l’obiettivo o il risultato oggetto della prestazione del collaboratore e, pertanto, il rapporto deve essere considerato di natura subordinata”</em>  (Tribunale di Milano 28 luglio 2009).<span> </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Inoltre, facendo propri i precedenti esiti giurisprudenziali è stato ritenuto che <em>“sono illegittimi i contratti di lavoro a progetto stipulati tra una cooperativa e i soci lavoratori, qualora il progetto consista nell’attività coincidente con l’oggetto sociale della cooperativa, sicchè i progetti consistono nella mera descrizione dell’attività che la cooperativa svolge senza alcun riferimento al risultato da raggiungere attraverso il progetto né alla realizzazione di un preciso piano di lavoro. In tal caso, mancando il progetto, il apporto tra le parti deve essere considerato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”</em> (Tribunale di Monza, 23 gennaio 2009).<span>  </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Peraltro, quando nonostante la previsione di uno specifico progetto, il rapporto si sia effettivamente svolto nelle modalità del lavoro subordinato e ciò venga accertato in giudizio, cessa di avere effetto la disciplina del lavoro a progetto e si applica quella del lavoro subordinato, a partire dalle data in cui si è verificata di fatto la difformità alla previsioni legislative e contrattuali. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Su tali profili di problematicità si sono soffermate le più significative interpretazioni giurisprudenziali intervenute sul lavoro a progetto: in materia di identificazione del rapporto di lavoro subordinato e, in particolare, con riferimento ai criteri pratici atti a consentire l’inquadramento delle fattispecie di volta in volta prese in considerazione, si è pronunciata da ultimo la Corte di Cassazione con sentenza n. 5080 del 3 marzo del 2009, con la quale è stato evidenziato che <em>“l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è costituito dal vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro con conseguente limitazione della sua autonomia e inserimento nell’organizzazione aziendale. Pertanto, gli altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur non essendo decisivi, possono comunque costituire degli elementi caratterizzanti, se considerati complessivamente e tali da prevalere sull’eventuale volontà contraria manifestata dalle parti e attraverso i quali è possibile individuare nel concreto l’essenza del rapporto di lavoro, vale a dire la subordinazione”.</em></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tale decisione si colloca lungo il binario percorso dall’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui è da ritenersi determinante, ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, la verifica della sussistenza nel singolo rapporto di lavoro del <em>“vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale si estrinseca nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e di controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative” </em>(Cass. Civ., Sez. Lav., 21 gennaio 2009, n. 1536; Cass. Civ., Sez. Lav., 01 dicembre 2008, n. 28525).</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Peraltro, in altre occasioni la Suprema corte ha avuto modo di rimarcare l’importanza del criterio del rischio quale indice di subordinazione, affermando che “<em>la collaborazione coordinata e continuativa con un soggetto esclude la subordinazione se viene accertato il rischio economico a carico del lavoratore, per esempio, rimanendo a suo carico l’acquisto o l’uso degli strumenti e delle materie necessarie l’attività lavorativa, oppure instaurando e gestendo i rapporti con i terzi. Il fatto che non vi sia l’obbligo di giustificare le assenze, come presupposto per la mancanza dell’elemento di subordinazione nel rapporto è valido quando vi sia l’accertamento della mancanza di conseguenze disciplinari”</em> (Cass. Civ.,<span> Sez. Lav., 7 agosto 2008 n</span>. 21380).</font></p><p align="justify"><span style="font-size: 12pt"><font style="font-size: 12px" color="#000000"><strong>4. La casistica: rassegna giurisprudenziale di merito</strong> </font></span></p><p align="justify"><font color="#000000">Nel momento storico di grande riforma del mercato del lavoro cui assistiamo, all'opera della giurisprudenza va riconosciuto il fondamentale ruolo di chiarificazione dei confini tra le diverse fattispecie contrattuali che si contrappongono nel panorama lavoristico.</font></p><p align="justify"><span style="font-size: 9pt"><font color="#000000">Le contraddittorie letture su profili formali, sostanziali e sanzionatori del contratto a progetto hanno, infatti, disorientato gli operatori del diritto, alimentando un’importante aspettativa nei confronti dell’applicazione giurisprudenziale<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[4].</span></span></span></span></span></font></span></p><p align="justify"><span style="font-size: 9pt"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"></span></span></font></span><font color="#000000">Orbene, le sentenze di seguito brevemente analizzate forniscono argomentate soluzioni per i casi concreti sottoposti al vaglio delle autorità giudiziarie adìte e suggeriscono interpretazioni ragionate fondamentali per prendere posizione sulle diverse questioni sorte dalla gestione dello strumento del lavoro a progetto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">La prima pronuncia giurisprudenziale che ha avuto il merito di precisare i requisiti del lavoro a progetto introdotto con il decreto n. 276/2003, è stata quella del Tribunale di Torino, Sez. Lav., datata 15/3/2005. Con tale sentenza, in applicazione dell’art. 69, comma 2, del D. Lgs. 276, è<span>  </span>stata accertata e dichiarata la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la società convenuta per la realizzazione di un progetto individuato nella promozione e commercializzazione di contratti di telefonia. I contratti di collaborazione, infatti, avevano comportato l'inserimento dei lavoratori in una struttura gerarchica, nonché l'assoggettamento a direttive, al potere disciplinare, al vincolo d'orario e all'uso di strumenti di lavoro della convenuta. Più precisamente, nel caso di specie, non vi era stato il rispetto del dettato normativo di cui agli art. 61 e ss. del D. Lgs. 276/2003, in quanto il costante controllo sulle ore di presenza dei collaboratori e l'impossibilità per questi ultimi di abbandonare liberamente le postazioni apparivano chiaramente incompatibili con la previsione normativa dell'indipendenza del progetto dai tempi di esecuzione della prestazione. Infine, i lavoratori si erano trovati<span>  </span>a collaborare non con una struttura aziendale distinguibile sul piano dellle risorse umane, ma con una struttura interamente composta da altri collaboratori a progetto ai quali soltanto era demandata l'intera attività indicata nell'oggetto sociale. Sicchè, da una definizione del progetto generica e coincidente con l'oggetto sociale dell'impresa si è potuto facilmente dedurre che ai lavoratori a progetto non era stato affidato soltanto il compito di collaborare con la struttura aziendale, ma di sostituirne interamente l'attività.<span>  </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Dello stesso tenore della pronuncia del Giudice torinese è la sentenza emanata dal Tribunale di Piacenza in data 15 febbraio 2006. Quest’ultima, infatti, dopo aver precisato che <em>“l’art. 62, D. Lgs. n. 276/2003 richiede l’indicazione di un programma nel contratto di lavoro a progetto puntuale e specifica, senza che possa risolversi in una clausola di stile evanescente ed ermetica nei suoi contenuti, né in forme standardizzate”</em>, ha ribadito che la mancanza di uno specifico progetto o programma nel suo contenuto caratterizzante riconduce il rapporto, ex art. 69, comma 1 del medesimo decreto, nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Nel caso di specie, l’attività (che coincideva con le mansioni di cameriera, lavapiatti ed aiuto cuoca) richiesta sulla base di un <em>programma</em> che ottimizzasse <em>“l’organizzazione al banco del bar”</em> era finalizzata a garantire <em>“un recupero di efficienza e clientela.”</em> Sicchè il Giudice, pur non pronunciandosi in merito all’ammissibilità o meno di un progetto sostanzialmente coincidente con l’attività aziendale, per la risoluzione della controversia in questione ha applicato il principio secondo cui la stesura del programma o del progetto debba essere puntuale e specifica.<span>     </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Ha contribuito a chiarire quanto non emerge con chiarezza dal corpo delle disposizioni introdotte con il D.Lgs. 276/2003 anche la sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 10 novembre 2005 riguardante un contratto di collaborazione a progetto stipulato per lo svolgimento di mansioni di informatore medico scientifico. Orbene, è prevalsa la lettura della disposizione di cui all’art.69, comma 3, nel senso di onerare il collaboratore della prova della sussistenza degli indici di subordinazione. Sicchè il Giudice di Milano ha rigettato il ricorso in quanto nel caso di specie non erano state dimostrate né le direttive aziendali circa lo svolgimento dell’attività lavorativa (ad esempio, l’imposizione di un numero minimo di medici da visitare giornalmente o settimanalmente), né l’assoggettamento della lavoratrice ad alcun poter gerarchico, disciplinare o vincolo di orario.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">In modo non dissimile e a conferma dell'importanza delle risultanze probatorie, il Tribunale di Ravenna, chiamato a pronunciarsi sulla domanda del ricorrente di conversione del rapporto in lavoro subordinato ex art. 69,comma 3, nella pronuncia del 24 novembre 2005, motivava il rigetto del ricorso con la mancanza della prova della subordinazione. Infatti, la lavoratrice (la cui collaborazione era finalizzata alla realizzazione di un ufficio commerciale efficiente a favore della società convenuta) non aveva provato di essere legata ad un orario di lavoro, di dover chiedere autorizzazioni per usufruire delle ferie o per assentarsi, né di soggiacere alle istruzioni e alle direttive del datore di lavoro.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">In una prospettiva <em>de iure condendo</em> tali pronunce giurisprudenziali rendono doverosa una riflessione sull’accertamento probatorio della sussistenza degli indici della subordinazione e, più precisamente, sulla ripartizione dell’onere della prova.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Inoltre, in riferimento al comma 3 dell’art. 69 del citato decreto, si è registrato in dottrina il timore che il legislatore delegato abbia limitato eccessivamente i poteri del Giudice nell’accertamento che la tipologia negoziale di fatto instauratasi tra le parti si sia discostata o meno dal <em>nomen juris</em> utilizzato nel contratto. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Infine, nella citata pronuncia di merito è contenuta una prima indicazione sulla forma del contratto di collaborazione a progetto. Più precisamente, il Giudice ha rilevato che la forma scritta per i contratti a progetto è prescritta <em>ad probationem</em> e che, nel caso di specie, il contratto era valido dal punto di vista sostanziale. Dalla considerazione che dal difetto di forma richiesta <em>ad probationem</em><span>  </span>non discende la nullità del contratto, né la conversione di esso in un rapporto di lavoro subordinato, l’Organo giudicante ha dedotto che bene si potrebbe lavorare a progetto anche prima della stipula del contratto per iscritto o senza mai redigere alcun contratto scritto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tuttavia, va anche ricordato che dal combinato disposto dell’art. 62 e del successivo art. 69, comma 1 e, in particolare, dalla previsione della conversione in “<em>rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”</em> conseguente alla mancata “<em>individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso”</em> autorevole dottrina<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[5]</span></span></span></span></span> ha potuto desumere che la forma scritta sia<span>  </span>richiesta <em>ad substantiam</em><em><span style="font-family: 'Trebuchet MS'">.</span></em></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Un altro punto analizzato dalla sentenza in esame è quello del “recesso”. In proposito, stante il dettato dell’art. 67 del D.Lgs. 276/2003, il Giudice ha affermato che <em>“in presenza di un’adeguata previsione contenuta nel contratto di lavoro”</em>, le parti possono <em>“recedere dal rapporto rispettando la modalità del preavviso e senza necessità di addurre causali”</em>. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Sulla base dei riferimenti giurisprudenziali sin qui evidenziati, quindi, pare ragionevole ritenere che le prime pronunce delle Corti di merito abbiano optato per la tesi della libertà delle parti di pattuire la facoltà di recesso ad nutum ante tempus già sostenuta in dottrina<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[6]</span></span></span></span></span>.<span> </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Peraltro, è interessante notare come l’<em>iter</em> logico-argomentativo seguito dal Tribunale di Ravenna sia affine a quello utilizzato dal Tribunale di Modena che il 21 febbraio 2006, in sede di procedimento d’urgenza, ha escluso la conversione del rapporto di lavoro a progetto in subordinato, non avendo parte attrice assolto all’onere di provare i caratteri tipici della subordinazione. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">In particolare, il Tribunale di Modena si è pronunciato su una fattispecie di contratto di lavoro a progetto concluso per la creazione e lo sviluppo di reti commerciali all’estero, di filiali estere e <em>joint-ventures</em>. Orbene, sugli indici di subordinazione dedotti dal ricorrente, il Giudice rilevava che non era stato dimostrato alcun obbligo di presenza in azienda per un numero fisso di ore, che gli avvisi in caso di assenza trovavano giustificazione nella necessità di un coordinamento e che le direttive aziendali, rivolte indifferentemente al lavoratore a progetto e agli altri dipendenti, non manifestavano una concreta ingerenza del committente. Ne conseguiva il rigetto del ricorso in quanto l’organo giudicante riteneva necessario, ai fini della dimostrazione del carattere subordinato del lavoro espletato, la sussistenza di vincoli di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Dello stesso tenore è l’ordinanza del 19 aprile 2006 che ha respinto il reclamo proposto dal collaboratore soccombente.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Diversamente, il Tribunale di Torino, con sentenza del 10 maggio 2006, ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto lavorativo intercorso tra le parti, sia per la mancanza di specificità del progetto, sia per alcuni aspetti concreti inerenti allo svolgimento del rapporto quale, soprattutto, il licenziamento per assenza ingiustificata. Quest’ultimo è stato considerato quale indice rivelatore della soggezione al potere disciplinare del datore di lavoro propria del lavoro subordinato ed estranea alla collaborazione a progetto. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Infine, nonostante alla pubblica amministrazione sia espressamente preclusa l’utilizzazione<span>  </span>della forma contrattuale del lavoro a progetto, anche il Consiglio di Stato ha avuto l’occasione di intervenire sull’argomento con la sentenza n. 1743 del 3 aprile 2006. Ponendo a confronto quest’ultima pronuncia con la<span>  </span>giurisprudenza lavoristica ordinaria, non sembra condivisibile la conclusione, cui perviene il Consiglio di Stato, secondo cui anche nel lavoro a progetto può essere lecitamente dedotta l'obbligazione dell'osservanza di un determinato orario. Infatti, pare ragionevole ritenere che il coordinamento temporale può consentire al committente di prestabilire fasce orarie di esecuzione della prestazione compatibili con l'assetto della sua organizzazione, ma non può spingersi fino a consentire di esigere il rispetto di un determinato orario, tracimando altrimenti nell'esercizio del potere direttivo da parte del datore di lavoro.</font></p><p align="justify"><strong style="font-size: 20px"><font style="font-size: 12px" color="#000000">5. La natura assoluta o relativa della presunzione di subordinazione prevista dall’art. 69, comma 1, D.Lgs. 276/2003</font></strong></p><p align="justify"><font color="#000000">L’art. 69 D.Lgs. 276/2003 prevede che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Opera, quindi, in questi casi, una presunzione legale sulla natura subordinata del rapporto. Si tratta, stando alle prime pronunce giurisprudenziali intervenute sul punto, di una presunzione “<em>iuris tantum</em>”, vale a dire che può essere superata dalla prova fornita dal committente circa la natura effettivamente autonoma del rapporto di lavoro intercorso.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Al riguardo va evidenziato che secondo l’interpretazione maggioritaria della giurisprudenza, alla presunzione in discorso va riconosciuta natura relativa. Conseguentemente è da ritenersi sempre ammessa, in capo al datore di lavoro e<span>  </span>nell’ipotesi di assenza o non specificità del progetto, la prova contraria circa la natura autonoma e non subordinata del rapporto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">In particolare, in riferimento<span>  </span>alla questione della non specificità del<span>  </span>progetto è stato recentemente evidenziato che il menzionato<em> </em>art. 69<em> “non implica una trasformazione automatica del rapporto di lavoro da autonomo a subordinato, nel caso di assenza o non specificità del progetto. A tal fine è infatti necessaria la prova degli indici di subordinazione da parte del lavoratore. In ogni caso è sempre ammessa, in capo al datore di lavoro, la prova contraria circa la natura autonoma e non subordinata del rapporto”</em> (Tribunale di Roma, 11 febbraio 2009).</font></p><p align="justify"><span style="font-size: 9pt"><font color="#000000">La dottrina, invece, si dimostrata divisa sul punto: talune voci dottrinali<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[7]</span></span></span></span></span> infatti sostengono, pena l’incostituzionalità della norma, la relatività della presunzione di subordinazione, tal’altre<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[8]</span></span></span></span></span> ritengono che in mancanza di un progetto la presunzione di subordinazione sia assoluta e che quindi escluda la possibilità di fornire la prova contraria. </font></span></p><p align="justify"><font color="#000000">Orbene, pur tenendo presenti le indiscutibili finalità anti-elusive della legge che ha inteso eliminare l’abuso dei contratti co.co.co. che spesso simulavano rapporti di lavoro subordinato, si impone una lettura della norma coerente con l’intero sistema del diritto del lavoro, che obbedisce al principio generale della indisponibilità del tipo negoziale. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tale principio non può essere ritenuto operante solo nel senso di tutelare rapporti di lavoro concretamente subordinati, seppur fittiziamente qualificati come autonomi, ma necessariamente anche nel senso di non attribuire le tutele tipiche dei lavoratori subordinati nei casi in cui, nella realtà, il rapporto non presenti le relative caratteristiche. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">D’altronde, altra considerazione in forza della quale pare corretto ritenere la relatività della presunzione in discorso è quella secondo cui la conversione del rapporto di lavoro a progetto in rapporto di lavoro subordinato non possa ricollegarsi al mero vizio formale della mancata specifica descrizione del progetto, ma solo al dato sostanziale dell’effettiva mancanza o simulazione dello stesso. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Invero, tale lettura della norma risulta in linea con i principi evidenziati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione agli artt. 3, 41, 101 e 104 Cost., secondo cui anche al legislatore è precluso qualificare un rapporto di lavoro in modo differenze dal suo concreto atteggiarsi (C. Cost. 31 marzo 1994, n. 115). </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Dunque, il meccanismo sanzionatorio ex art. 69 non può spingersi fino alla indiscriminata qualificazione come rapporti subordinati di rapporti che, di fatto, non lo sono.<span>  </span></font></p><p align="justify"><strong style="font-size: 22px"><font style="font-size: 12px" color="#000000">6. Conclusioni</font></strong></p><p align="justify"><font color="#000000">Alla luce delle interpretazioni giurisprudenziali sin qui esaminate, va indubbiamente riconosciuto alle autorità giudiziarie un ruolo determinante nel raggiungimento dell’obiettivo di impedire l’uso di forme di occupazione flessibile a scopi elusivi delle tutele legislativamente previste a favore dei lavoratori subordinati. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Garantire che a tipologie contrattuali di lavoro parasubordinato corrispondano lavoratori autonomi e non subordinati costituisce, infatti, uno degli aspetti fondamentali del “governo” della flessibilità.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Al contrario, un uso distorto ed eccessivo della tipologia contrattuale del lavoro a progetto, porta inevitabilmente al profilarsi di un pericoloso binomio tra flessibilità e precarietà, laddove quest’ultima costituisce un disvalore che rischia di condannare un’intera generazione all’insicurezza e all’incertezza.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Per far fronte a tali fenomeni degenerativi non solo si rende urgente un confronto a livello politico, parlamentare, sindacale e culturale (in termini di riflessione scientifico-universitaria sul mercato del lavoro),<span>  </span>ma<span>  </span>soprattutto è necessario un approccio per così dire “laico” ai problemi occupazionali, scevro da ideologie e che consideri quali soggetti ugualmente meritevoli di tutela sia i lavoratori, sia le imprese che creano occupazione.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">La tipologia contrattuale del lavoro a progetto, infatti, ove utilizzata in modo conforme al modello legale, potrebbe costituire un efficace strumento per far fronte alle esigenze, tradizionalmente contrapposte, sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, potendo rappresentare per i primi importanti occasioni di occupazione regolare, e per le imprese valido strumento per battere la concorrenza nel mercato.</font></p><p align="justify"><font color="#000000"><hr width="33%" size="1" /></font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[1]</span></span></span></span></span> <span style="font-size: 9pt">Gaetano Veneto, <em>Lezioni di diritto del lavoro</em>, Adriatica Editrice, Bari, 2005, pag. 208.</span></font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[2]</span></span></span></span></span> G. Strano, <em>Riforma Biagi: il lavoro diventa più flessibile,</em> in <em>Guida al Lavoro, I Supplementi</em>, n. 41/2003, IlSole24Ore, Milano. Vd. pure Continisio R. (a cura di),<em> I contratti di collaborazione coordinata e collaborativi tra riforme e giudici, </em>in Tiraboschi M., <em>La riforma Biagi del mercato del lavoro</em>, Giuffrè, Milano, 2004, pag. 172. </font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[3]</span></span></span></span></span> G. Santoro Passatelli, <em>Lavoro parasubordinato, Lavoro</em> <em>coordinato, Lavoro a progetto, </em>in De Luca Tamajo, Rusciano, Zoppoli (a cura di) <em>Mercato del Lavoro – Riforma e vincoli di sistema dalla legge n. 30/2003 al D.Lgs. n. 276/2003, Editoriale Scientifica</em>, Napoli, 2003, pagg. 198-199. </font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[4]</span></span></span></span></span> C. Ogriseg,<em> Primi orientamenti giurisprudenziali in tema di lavoro a progetto, </em>Il Sole24Ore, n.5, maggio 2006. Sul punto Altieri, <em>Dalle collaborazioni coordinate e continuative al lavoro a progetto: cosa cambia nel mercato del lavoro italiano</em> in Pallini, <em>Il “lavoro a progetto” in Italia e in Europa, Bologna, 2006,</em> pag. 93 e 110.</font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[5]</span></span></span></span></span><span>  </span>Vallebona, De Angelis, De Feo, Ghera, Altavilla, in Ogriseg, op. cit. pag. 3.</font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[6]</span></span></span></span></span> De Luca Tamajo, Santoro Passarelli, Bellavista, Lunardon,<span>  </span>in Ogriseg, op. cit. pag. 6. </font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[7]</span></span></span></span></span> Tiraboschi, Maresca, Lunardon, Tartaglione in Ogriseg, op. cit. pag. 4.</font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[8]</span></span></span></span></span> Ichino, Mischione, Perulli, Vallebona, De Luca Tamajo, Pedrazzoli, De Angalis, Altavilla in Ogriseg, op. cit. pag. 4.</font></p> <p style="margin: 0cm 13.9pt 0pt 18pt; text-indent: 18pt; text-align: center" class="MsoNormal" align="center"><font color="#993366"><strong><em><span style="font-size: 14pt">Lavoro a progetto:</span></em></strong></font></p><p style="margin: 0cm 13.9pt 0pt 18pt; text-indent: 18pt; text-align: center" class="MsoNormal" align="center"><font color="#993366"><strong><em><span style="font-size: 12pt">dalle finalità normative ai primi anni di applicazione giurisprudenziale</span></em></strong></font></p><p style="margin: 0cm 13.9pt 0pt 18pt; text-indent: 18pt; text-align: center" class="MsoNormal" align="center"> </p><p align="justify"><font color="#000000">SOMMARIO: </font><font color="#000000">1. Premessa - 2. La definizione di “progetto” e di “programma” - 3. Conseguenze della non specificità del progetto nei contratti a progetto - 4. La casistica: rassegna giurisprudenziale di merito - 5. La natura assoluta o relativa della presunzione di subordinazione prevista dall’art. 69, comma 1, D.Lgs. 276/2003 - 6. Conclusioni<span>  </span></font></p><p align="justify"><strong><span style="font-size: 12pt"><font style="font-size: 12px" color="#000000">1. Premessa</font></span></strong></p><p align="justify"><font color="#000000">La crisi del mercato del lavoro e l'eccessivo costo del lavoro subordinato ad essa connesso hanno portato all’introduzione, nel nostro ordinamento come in altri sistemi occidentali, di forme di lavoro improntate al canone della flessibilità.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tali forme contrattuali, infatti, da un lato sono in grado di rendere l'offerta di lavoro più adattabile ai mutamenti del mercato e dall'altro, essendo ben lontane dal rigido schema del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, consentono al datore di lavoro di contenere il costo del lavoro<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[1]</span></span></span></span></span>.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">La forte istanza, anche di respiro europeo, di garantire più elevati livelli occupazionali ha ispirato la Legge n. 30 del 2003, dal cui decreto attuativo (D.Lgs. n. 276 del 2003, successivamente modificato con D.Lgs. n. 251 del 6 ottobre 2004) sono derivate sia nuove tipologie contrattuali, sia un'innovativa regolamentazione del lavoro parasubordinato incentrata sulla figura del collaboratore a progetto. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">La suddetta riforma del mercato del lavoro ha infatti integrato la disciplina della collaborazione coordinata e continuativa introducendo l'obbligo di collegare l'instaurazione del rapporto lavorativo alla realizzazione di <em>uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati</em>. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">In proposito va evidenziato che l’innovativa restrizione dei confini della parasubordinazione, dovuta all'introduzione da parte del legislatore degli elementi del progetto, programma di lavoro o fase di esso, è finalizzata ad impedire l’utilizzazione delle collaborazioni coordinate e continuative in funzione elusiva della normativa a tutela del lavoro subordinato.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Invero, è opinione diffusa e largamente condivisibile che la riforma Biagi si sia inserita in una situazione fortemente caotica del mercato del lavoro caratterizzata da un uso smodato da parte dell'imprenditoria dei contratti CO.CO.CO. allo scopo di eludere i vincoli derivanti dalle tutele normativamente previste a favore dei lavoratori subordinati.<span style="font-family: 'Trebuchet MS'"> </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Come rilevato da autorevole dottrina<span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Trebuchet MS'"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Trebuchet MS'">[2]</span></span></span></span></span></span>, la cd. Legge Biagi costituisce espressione del tentativo del legislatore di rafforzare la tutela dei collaboratori coordinati e continuativi, al fine di porre fine all’abuso delle collaborazioni, usate come “maschere” di rapporti subordinati e conferendo loro una nuova “dignità” normativa attraverso la disciplina delle collaborazioni a progetto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Al riguardo è necessario precisare, preliminarmente e in via di prima approssimazione, che ogni collaborazione coordinata e continuativa implica la sussistenza di precisi requisiti che devono connotare il rapporto di lavoro quali: l'assenza di un vincolo di subordinazione, la continuatività, la collaborazione, l'autonomia del collaboratore, il coordinamento, la personalità della prestazione resa a favore di un committente, la mancanza dell'impiego di mezzi organizzati e la retribuzione periodica prestabilità.<span>  </span></font></p><p align="justify"><span style="font-size: 9pt"><font color="#000000">Il lavoro a progetto rientra nell'ambito delle collaborazioni coordinate e continuative essendo caratterizzato, oltre che dal requisito essenziale di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, e dall'irrilevanza dell'articolazione del<span>  </span>tempo impiegato, anche dagli elementi che caratterizzano ogni rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. </font></span></p><p align="justify"><strong><span style="font-size: 12pt"><font style="font-size: 12px" color="#000000">2. La definizione di “progetto” e di “programma” </font></span></strong></p><p align="justify"><font color="#000000">Riguardo ai concetti di <em>progetto, programma</em> e<em> fase di esso</em>, il Ministero del Lavoro, già nella Circolare Min. Lav. 8/1/2004, n. 1, ha chiarito le caratteristiche degli elementi essenziali del lavoro a progetto, statuendo che il progetto consiste in un’attività ben identificabile e collegata ad un risultato finale connesso all'attività accessoria o principale dell'impresa; il programma, invece, consiste in un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale e si caratterizza per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Inoltre, poiché la<em> ratio</em> delle Legge 30/2003 è quella di contenere il ricorso alle forme di collaborazione coordinata e continuativa e le conseguenti fughe dallo schema del lavoro subordinato, il <em>progetto</em> deve essere contrassegnato dal requisito della eccezionalità, nel senso che deve consistere in un’attività non ordinariamente rientrante tra quelle normalmente svolte dai dipendenti del committente. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Alla luce di tali considerazioni, si ritiene di poter pienamente concordare con quella parte autorevole della dottrina che sottolinea che lo spazio e la sopravvivenza di questo nuovo tipo legale dipenderà in larga misura dal significato che sarà attribuito ai termini <em>“progetto specifico, programma o fase di esso</em>”<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[3]</span></span></span></span></span>.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Il progetto, infatti, va considerato come un’ideazione e come tale deve essere contrassegnato dal requisito della originalità o della eccezionalità, nell’accezione di attività non ordinariamente rientrante tra quelle normalmente svolte dai dipendenti del committente. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Conseguentemente, dovrebbe ritenersi legittimo il ricorso alla forma contrattuale in esame, ad esempio in presenza di situazioni produttive particolari che necessitano del coinvolgimento di soggetti forniti di specifiche competenze non presenti nell'organizzazione imprenditoriale.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tale opzione ermeneutica trova conferma in diverse pronunce di merito che hanno sottolineato che <em>“il contenuto caratterizzante l’effettivo<span>  </span>progetto va inteso come genuino apporto del prestatore di lavoro al committente di una capacità specialistica, di una collaborazione anche particolarmente circoscritta ad un segmento distinto della sua ampia organizzazione produttiva per la soddisfazione di esigenze particolari dell’andamento del ciclo di produzione ovvero anche in occasione di riassetto di esso. In altri termini il progetto allude al raggiungimento di un obiettivo particolare da attingere attraverso la collaborazione del prestatore e la sua attività consulenziale, ossia con un peculiare apporto ideativo, mentre il programma rimanda in maggior misura ad attività chiamate a realizzare una nuova modalità organizzativa e temporale della struttura del committente” </em>(Tribunale di Milano, 9 luglio 2009).</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Sulla necessità che al progetto di lavoro sia sotteso uno specifico obiettivo e risultato finale non coincidente con il risultato cui tende l’organizzazione del committente si è espresso anche il Tribunale di Modena secondo cui <em>“la costruzione del contratto di lavoro a progetto come obbligazione di risultato è quella più fondatamente legata al dato normativo ed alla ratio legis; il risultato non può essere quello cui tende l’organizzazione del committente quale interesse finale dell’impresa ma è quello dotato di una sua compiutezza ed autonomia ontologica, realizzato dal collaboratore con la propria prestazione e reso all’impresa quale adempimento della propria obbligazione”</em> (Tribunale di Modena del febbraio 2006).</font></p><p align="justify"><font color="#000000">A conferma dell’orientamento giurisprudenziale prevalente è stato, inoltre, evidenziato che <em>“ai fini della validità dei contratti a progetto, il progetto o programma di lavoro debbono essere specifici. Il progetto o il programma, per soddisfare il requisito della specificità, devono consistere in un’attività identificabile e collegabile ad un risultato finale o parziale che deve essere diverso da quello della prestazione del servizio fornito dalla società. Peraltro, non è sufficiente la mera descrizione di un obiettivo, essendo altresì necessario l’inquadramento organizzativo della prestazione del collaboratore, cioè l’individuazione dell’ambito di utilizzazione della collaborazione nella struttura aziendale. Questi due requisiti devono non solo sussistere, ma anche essere indicati nel testo contrattuale ai fini probatori” </em>(Tribunale di Trieste, 9 aprile 2009). </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Da ultimo, va menzionata la sentenza emanata dal Tribunale di Milano il 13 novembre 2008, nella quale si precisa che <em>"per mancata individuazione di un progetto, così come previsto dall'art. 61, comma 1, D.Lgs. 276/2003, si deve intendere sia la mancata individuazione formale del contenuto del progetto o programma sia la non configurabilità di un effettivo progetto, che deve essere adeguatamente descritto ed individuato come realizzazione di un preciso e circostanziato piano di lavoro o risultato”.</em></font></p><p align="justify"><font color="#000000"><strong style="font-size: 12px"><span style="font-size: 12px">3.<span style="font-size: 12px"> Conseguenze della non specificità del progetto nei contratti a progetto</span></span></strong></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Per i casi in cui manchi uno specifico progetto la sanzione normativamente prevista (art. 69, comma 1) è la conversione del contratto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dal momento in cui esso ha avuto inizio. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">In relazione a tale evenienza, l’orientamento giurisprudenziale prevalente ha applicato il citato art. 69 del D.Lgs. 276/2003 ribadendo l’essenzialità dell’elemento del progetto, la cui non effettività o pretestuosità determina, in funzione marcatamente sanzionatoria, automaticamente l’attrazione del rapporto lavorativo nell’ambito della figura del lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c..</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Più precisamente, è stato evidenziato che “<em>la mancanza del progetto nel contratto di lavoro a progetto può consistere sia nell’assenza di un formale progetto sia nella non configurabilità di un effettivo progetto, ove il progetto si limiti alla semplice indicazione dell’attività svolta dal committente. In tal caso, infatti, non si può escludere l’esercizio di un potere direttivo da parte del committente, né si può rinvenire l’obiettivo o il risultato oggetto della prestazione del collaboratore e, pertanto, il rapporto deve essere considerato di natura subordinata”</em>  (Tribunale di Milano 28 luglio 2009).<span> </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Inoltre, facendo propri i precedenti esiti giurisprudenziali è stato ritenuto che <em>“sono illegittimi i contratti di lavoro a progetto stipulati tra una cooperativa e i soci lavoratori, qualora il progetto consista nell’attività coincidente con l’oggetto sociale della cooperativa, sicchè i progetti consistono nella mera descrizione dell’attività che la cooperativa svolge senza alcun riferimento al risultato da raggiungere attraverso il progetto né alla realizzazione di un preciso piano di lavoro. In tal caso, mancando il progetto, il apporto tra le parti deve essere considerato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”</em> (Tribunale di Monza, 23 gennaio 2009).<span>  </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Peraltro, quando nonostante la previsione di uno specifico progetto, il rapporto si sia effettivamente svolto nelle modalità del lavoro subordinato e ciò venga accertato in giudizio, cessa di avere effetto la disciplina del lavoro a progetto e si applica quella del lavoro subordinato, a partire dalle data in cui si è verificata di fatto la difformità alla previsioni legislative e contrattuali. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Su tali profili di problematicità si sono soffermate le più significative interpretazioni giurisprudenziali intervenute sul lavoro a progetto: in materia di identificazione del rapporto di lavoro subordinato e, in particolare, con riferimento ai criteri pratici atti a consentire l’inquadramento delle fattispecie di volta in volta prese in considerazione, si è pronunciata da ultimo la Corte di Cassazione con sentenza n. 5080 del 3 marzo del 2009, con la quale è stato evidenziato che <em>“l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è costituito dal vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro con conseguente limitazione della sua autonomia e inserimento nell’organizzazione aziendale. Pertanto, gli altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur non essendo decisivi, possono comunque costituire degli elementi caratterizzanti, se considerati complessivamente e tali da prevalere sull’eventuale volontà contraria manifestata dalle parti e attraverso i quali è possibile individuare nel concreto l’essenza del rapporto di lavoro, vale a dire la subordinazione”.</em></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tale decisione si colloca lungo il binario percorso dall’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui è da ritenersi determinante, ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, la verifica della sussistenza nel singolo rapporto di lavoro del <em>“vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale si estrinseca nell’emanazione di ordini specifici, oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e di controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative” </em>(Cass. Civ., Sez. Lav., 21 gennaio 2009, n. 1536; Cass. Civ., Sez. Lav., 01 dicembre 2008, n. 28525).</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Peraltro, in altre occasioni la Suprema corte ha avuto modo di rimarcare l’importanza del criterio del rischio quale indice di subordinazione, affermando che “<em>la collaborazione coordinata e continuativa con un soggetto esclude la subordinazione se viene accertato il rischio economico a carico del lavoratore, per esempio, rimanendo a suo carico l’acquisto o l’uso degli strumenti e delle materie necessarie l’attività lavorativa, oppure instaurando e gestendo i rapporti con i terzi. Il fatto che non vi sia l’obbligo di giustificare le assenze, come presupposto per la mancanza dell’elemento di subordinazione nel rapporto è valido quando vi sia l’accertamento della mancanza di conseguenze disciplinari”</em> (Cass. Civ.,<span> Sez. Lav., 7 agosto 2008 n</span>. 21380).</font></p><p align="justify"><span style="font-size: 12pt"><font style="font-size: 12px" color="#000000"><strong>4. La casistica: rassegna giurisprudenziale di merito</strong> </font></span></p><p align="justify"><font color="#000000">Nel momento storico di grande riforma del mercato del lavoro cui assistiamo, all'opera della giurisprudenza va riconosciuto il fondamentale ruolo di chiarificazione dei confini tra le diverse fattispecie contrattuali che si contrappongono nel panorama lavoristico.</font></p><p align="justify"><span style="font-size: 9pt"><font color="#000000">Le contraddittorie letture su profili formali, sostanziali e sanzionatori del contratto a progetto hanno, infatti, disorientato gli operatori del diritto, alimentando un’importante aspettativa nei confronti dell’applicazione giurisprudenziale<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[4].</span></span></span></span></span></font></span></p><p align="justify"><span style="font-size: 9pt"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"></span></span></font></span><font color="#000000">Orbene, le sentenze di seguito brevemente analizzate forniscono argomentate soluzioni per i casi concreti sottoposti al vaglio delle autorità giudiziarie adìte e suggeriscono interpretazioni ragionate fondamentali per prendere posizione sulle diverse questioni sorte dalla gestione dello strumento del lavoro a progetto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">La prima pronuncia giurisprudenziale che ha avuto il merito di precisare i requisiti del lavoro a progetto introdotto con il decreto n. 276/2003, è stata quella del Tribunale di Torino, Sez. Lav., datata 15/3/2005. Con tale sentenza, in applicazione dell’art. 69, comma 2, del D. Lgs. 276, è<span>  </span>stata accertata e dichiarata la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la società convenuta per la realizzazione di un progetto individuato nella promozione e commercializzazione di contratti di telefonia. I contratti di collaborazione, infatti, avevano comportato l'inserimento dei lavoratori in una struttura gerarchica, nonché l'assoggettamento a direttive, al potere disciplinare, al vincolo d'orario e all'uso di strumenti di lavoro della convenuta. Più precisamente, nel caso di specie, non vi era stato il rispetto del dettato normativo di cui agli art. 61 e ss. del D. Lgs. 276/2003, in quanto il costante controllo sulle ore di presenza dei collaboratori e l'impossibilità per questi ultimi di abbandonare liberamente le postazioni apparivano chiaramente incompatibili con la previsione normativa dell'indipendenza del progetto dai tempi di esecuzione della prestazione. Infine, i lavoratori si erano trovati<span>  </span>a collaborare non con una struttura aziendale distinguibile sul piano dellle risorse umane, ma con una struttura interamente composta da altri collaboratori a progetto ai quali soltanto era demandata l'intera attività indicata nell'oggetto sociale. Sicchè, da una definizione del progetto generica e coincidente con l'oggetto sociale dell'impresa si è potuto facilmente dedurre che ai lavoratori a progetto non era stato affidato soltanto il compito di collaborare con la struttura aziendale, ma di sostituirne interamente l'attività.<span>  </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Dello stesso tenore della pronuncia del Giudice torinese è la sentenza emanata dal Tribunale di Piacenza in data 15 febbraio 2006. Quest’ultima, infatti, dopo aver precisato che <em>“l’art. 62, D. Lgs. n. 276/2003 richiede l’indicazione di un programma nel contratto di lavoro a progetto puntuale e specifica, senza che possa risolversi in una clausola di stile evanescente ed ermetica nei suoi contenuti, né in forme standardizzate”</em>, ha ribadito che la mancanza di uno specifico progetto o programma nel suo contenuto caratterizzante riconduce il rapporto, ex art. 69, comma 1 del medesimo decreto, nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Nel caso di specie, l’attività (che coincideva con le mansioni di cameriera, lavapiatti ed aiuto cuoca) richiesta sulla base di un <em>programma</em> che ottimizzasse <em>“l’organizzazione al banco del bar”</em> era finalizzata a garantire <em>“un recupero di efficienza e clientela.”</em> Sicchè il Giudice, pur non pronunciandosi in merito all’ammissibilità o meno di un progetto sostanzialmente coincidente con l’attività aziendale, per la risoluzione della controversia in questione ha applicato il principio secondo cui la stesura del programma o del progetto debba essere puntuale e specifica.<span>     </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Ha contribuito a chiarire quanto non emerge con chiarezza dal corpo delle disposizioni introdotte con il D.Lgs. 276/2003 anche la sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 10 novembre 2005 riguardante un contratto di collaborazione a progetto stipulato per lo svolgimento di mansioni di informatore medico scientifico. Orbene, è prevalsa la lettura della disposizione di cui all’art.69, comma 3, nel senso di onerare il collaboratore della prova della sussistenza degli indici di subordinazione. Sicchè il Giudice di Milano ha rigettato il ricorso in quanto nel caso di specie non erano state dimostrate né le direttive aziendali circa lo svolgimento dell’attività lavorativa (ad esempio, l’imposizione di un numero minimo di medici da visitare giornalmente o settimanalmente), né l’assoggettamento della lavoratrice ad alcun poter gerarchico, disciplinare o vincolo di orario.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">In modo non dissimile e a conferma dell'importanza delle risultanze probatorie, il Tribunale di Ravenna, chiamato a pronunciarsi sulla domanda del ricorrente di conversione del rapporto in lavoro subordinato ex art. 69,comma 3, nella pronuncia del 24 novembre 2005, motivava il rigetto del ricorso con la mancanza della prova della subordinazione. Infatti, la lavoratrice (la cui collaborazione era finalizzata alla realizzazione di un ufficio commerciale efficiente a favore della società convenuta) non aveva provato di essere legata ad un orario di lavoro, di dover chiedere autorizzazioni per usufruire delle ferie o per assentarsi, né di soggiacere alle istruzioni e alle direttive del datore di lavoro.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">In una prospettiva <em>de iure condendo</em> tali pronunce giurisprudenziali rendono doverosa una riflessione sull’accertamento probatorio della sussistenza degli indici della subordinazione e, più precisamente, sulla ripartizione dell’onere della prova.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Inoltre, in riferimento al comma 3 dell’art. 69 del citato decreto, si è registrato in dottrina il timore che il legislatore delegato abbia limitato eccessivamente i poteri del Giudice nell’accertamento che la tipologia negoziale di fatto instauratasi tra le parti si sia discostata o meno dal <em>nomen juris</em> utilizzato nel contratto. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Infine, nella citata pronuncia di merito è contenuta una prima indicazione sulla forma del contratto di collaborazione a progetto. Più precisamente, il Giudice ha rilevato che la forma scritta per i contratti a progetto è prescritta <em>ad probationem</em> e che, nel caso di specie, il contratto era valido dal punto di vista sostanziale. Dalla considerazione che dal difetto di forma richiesta <em>ad probationem</em><span>  </span>non discende la nullità del contratto, né la conversione di esso in un rapporto di lavoro subordinato, l’Organo giudicante ha dedotto che bene si potrebbe lavorare a progetto anche prima della stipula del contratto per iscritto o senza mai redigere alcun contratto scritto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tuttavia, va anche ricordato che dal combinato disposto dell’art. 62 e del successivo art. 69, comma 1 e, in particolare, dalla previsione della conversione in “<em>rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”</em> conseguente alla mancata “<em>individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso”</em> autorevole dottrina<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[5]</span></span></span></span></span> ha potuto desumere che la forma scritta sia<span>  </span>richiesta <em>ad substantiam</em><em><span style="font-family: 'Trebuchet MS'">.</span></em></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Un altro punto analizzato dalla sentenza in esame è quello del “recesso”. In proposito, stante il dettato dell’art. 67 del D.Lgs. 276/2003, il Giudice ha affermato che <em>“in presenza di un’adeguata previsione contenuta nel contratto di lavoro”</em>, le parti possono <em>“recedere dal rapporto rispettando la modalità del preavviso e senza necessità di addurre causali”</em>. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Sulla base dei riferimenti giurisprudenziali sin qui evidenziati, quindi, pare ragionevole ritenere che le prime pronunce delle Corti di merito abbiano optato per la tesi della libertà delle parti di pattuire la facoltà di recesso ad nutum ante tempus già sostenuta in dottrina<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[6]</span></span></span></span></span>.<span> </span></font></p><p align="justify"><font color="#000000">Peraltro, è interessante notare come l’<em>iter</em> logico-argomentativo seguito dal Tribunale di Ravenna sia affine a quello utilizzato dal Tribunale di Modena che il 21 febbraio 2006, in sede di procedimento d’urgenza, ha escluso la conversione del rapporto di lavoro a progetto in subordinato, non avendo parte attrice assolto all’onere di provare i caratteri tipici della subordinazione. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">In particolare, il Tribunale di Modena si è pronunciato su una fattispecie di contratto di lavoro a progetto concluso per la creazione e lo sviluppo di reti commerciali all’estero, di filiali estere e <em>joint-ventures</em>. Orbene, sugli indici di subordinazione dedotti dal ricorrente, il Giudice rilevava che non era stato dimostrato alcun obbligo di presenza in azienda per un numero fisso di ore, che gli avvisi in caso di assenza trovavano giustificazione nella necessità di un coordinamento e che le direttive aziendali, rivolte indifferentemente al lavoratore a progetto e agli altri dipendenti, non manifestavano una concreta ingerenza del committente. Ne conseguiva il rigetto del ricorso in quanto l’organo giudicante riteneva necessario, ai fini della dimostrazione del carattere subordinato del lavoro espletato, la sussistenza di vincoli di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Dello stesso tenore è l’ordinanza del 19 aprile 2006 che ha respinto il reclamo proposto dal collaboratore soccombente.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Diversamente, il Tribunale di Torino, con sentenza del 10 maggio 2006, ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto lavorativo intercorso tra le parti, sia per la mancanza di specificità del progetto, sia per alcuni aspetti concreti inerenti allo svolgimento del rapporto quale, soprattutto, il licenziamento per assenza ingiustificata. Quest’ultimo è stato considerato quale indice rivelatore della soggezione al potere disciplinare del datore di lavoro propria del lavoro subordinato ed estranea alla collaborazione a progetto. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Infine, nonostante alla pubblica amministrazione sia espressamente preclusa l’utilizzazione<span>  </span>della forma contrattuale del lavoro a progetto, anche il Consiglio di Stato ha avuto l’occasione di intervenire sull’argomento con la sentenza n. 1743 del 3 aprile 2006. Ponendo a confronto quest’ultima pronuncia con la<span>  </span>giurisprudenza lavoristica ordinaria, non sembra condivisibile la conclusione, cui perviene il Consiglio di Stato, secondo cui anche nel lavoro a progetto può essere lecitamente dedotta l'obbligazione dell'osservanza di un determinato orario. Infatti, pare ragionevole ritenere che il coordinamento temporale può consentire al committente di prestabilire fasce orarie di esecuzione della prestazione compatibili con l'assetto della sua organizzazione, ma non può spingersi fino a consentire di esigere il rispetto di un determinato orario, tracimando altrimenti nell'esercizio del potere direttivo da parte del datore di lavoro.</font></p><p align="justify"><strong style="font-size: 20px"><font style="font-size: 12px" color="#000000">5. La natura assoluta o relativa della presunzione di subordinazione prevista dall’art. 69, comma 1, D.Lgs. 276/2003</font></strong></p><p align="justify"><font color="#000000">L’art. 69 D.Lgs. 276/2003 prevede che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Opera, quindi, in questi casi, una presunzione legale sulla natura subordinata del rapporto. Si tratta, stando alle prime pronunce giurisprudenziali intervenute sul punto, di una presunzione “<em>iuris tantum</em>”, vale a dire che può essere superata dalla prova fornita dal committente circa la natura effettivamente autonoma del rapporto di lavoro intercorso.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Al riguardo va evidenziato che secondo l’interpretazione maggioritaria della giurisprudenza, alla presunzione in discorso va riconosciuta natura relativa. Conseguentemente è da ritenersi sempre ammessa, in capo al datore di lavoro e<span>  </span>nell’ipotesi di assenza o non specificità del progetto, la prova contraria circa la natura autonoma e non subordinata del rapporto.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">In particolare, in riferimento<span>  </span>alla questione della non specificità del<span>  </span>progetto è stato recentemente evidenziato che il menzionato<em> </em>art. 69<em> “non implica una trasformazione automatica del rapporto di lavoro da autonomo a subordinato, nel caso di assenza o non specificità del progetto. A tal fine è infatti necessaria la prova degli indici di subordinazione da parte del lavoratore. In ogni caso è sempre ammessa, in capo al datore di lavoro, la prova contraria circa la natura autonoma e non subordinata del rapporto”</em> (Tribunale di Roma, 11 febbraio 2009).</font></p><p align="justify"><span style="font-size: 9pt"><font color="#000000">La dottrina, invece, si dimostrata divisa sul punto: talune voci dottrinali<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[7]</span></span></span></span></span> infatti sostengono, pena l’incostituzionalità della norma, la relatività della presunzione di subordinazione, tal’altre<span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman'">[8]</span></span></span></span></span> ritengono che in mancanza di un progetto la presunzione di subordinazione sia assoluta e che quindi escluda la possibilità di fornire la prova contraria. </font></span></p><p align="justify"><font color="#000000">Orbene, pur tenendo presenti le indiscutibili finalità anti-elusive della legge che ha inteso eliminare l’abuso dei contratti co.co.co. che spesso simulavano rapporti di lavoro subordinato, si impone una lettura della norma coerente con l’intero sistema del diritto del lavoro, che obbedisce al principio generale della indisponibilità del tipo negoziale. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Tale principio non può essere ritenuto operante solo nel senso di tutelare rapporti di lavoro concretamente subordinati, seppur fittiziamente qualificati come autonomi, ma necessariamente anche nel senso di non attribuire le tutele tipiche dei lavoratori subordinati nei casi in cui, nella realtà, il rapporto non presenti le relative caratteristiche. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">D’altronde, altra considerazione in forza della quale pare corretto ritenere la relatività della presunzione in discorso è quella secondo cui la conversione del rapporto di lavoro a progetto in rapporto di lavoro subordinato non possa ricollegarsi al mero vizio formale della mancata specifica descrizione del progetto, ma solo al dato sostanziale dell’effettiva mancanza o simulazione dello stesso. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Invero, tale lettura della norma risulta in linea con i principi evidenziati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione agli artt. 3, 41, 101 e 104 Cost., secondo cui anche al legislatore è precluso qualificare un rapporto di lavoro in modo differenze dal suo concreto atteggiarsi (C. Cost. 31 marzo 1994, n. 115). </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Dunque, il meccanismo sanzionatorio ex art. 69 non può spingersi fino alla indiscriminata qualificazione come rapporti subordinati di rapporti che, di fatto, non lo sono.<span>  </span></font></p><p align="justify"><strong style="font-size: 22px"><font style="font-size: 12px" color="#000000">6. Conclusioni</font></strong></p><p align="justify"><font color="#000000">Alla luce delle interpretazioni giurisprudenziali sin qui esaminate, va indubbiamente riconosciuto alle autorità giudiziarie un ruolo determinante nel raggiungimento dell’obiettivo di impedire l’uso di forme di occupazione flessibile a scopi elusivi delle tutele legislativamente previste a favore dei lavoratori subordinati. </font></p><p align="justify"><font color="#000000">Garantire che a tipologie contrattuali di lavoro parasubordinato corrispondano lavoratori autonomi e non subordinati costituisce, infatti, uno degli aspetti fondamentali del “governo” della flessibilità.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Al contrario, un uso distorto ed eccessivo della tipologia contrattuale del lavoro a progetto, porta inevitabilmente al profilarsi di un pericoloso binomio tra flessibilità e precarietà, laddove quest’ultima costituisce un disvalore che rischia di condannare un’intera generazione all’insicurezza e all’incertezza.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">Per far fronte a tali fenomeni degenerativi non solo si rende urgente un confronto a livello politico, parlamentare, sindacale e culturale (in termini di riflessione scientifico-universitaria sul mercato del lavoro),<span>  </span>ma<span>  </span>soprattutto è necessario un approccio per così dire “laico” ai problemi occupazionali, scevro da ideologie e che consideri quali soggetti ugualmente meritevoli di tutela sia i lavoratori, sia le imprese che creano occupazione.</font></p><p align="justify"><font color="#000000">La tipologia contrattuale del lavoro a progetto, infatti, ove utilizzata in modo conforme al modello legale, potrebbe costituire un efficace strumento per far fronte alle esigenze, tradizionalmente contrapposte, sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, potendo rappresentare per i primi importanti occasioni di occupazione regolare, e per le imprese valido strumento per battere la concorrenza nel mercato.</font></p><p align="justify"><font color="#000000"><hr width="33%" size="1" /></font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[1]</span></span></span></span></span> <span style="font-size: 9pt">Gaetano Veneto, <em>Lezioni di diritto del lavoro</em>, Adriatica Editrice, Bari, 2005, pag. 208.</span></font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[2]</span></span></span></span></span> G. Strano, <em>Riforma Biagi: il lavoro diventa più flessibile,</em> in <em>Guida al Lavoro, I Supplementi</em>, n. 41/2003, IlSole24Ore, Milano. Vd. pure Continisio R. (a cura di),<em> I contratti di collaborazione coordinata e collaborativi tra riforme e giudici, </em>in Tiraboschi M., <em>La riforma Biagi del mercato del lavoro</em>, Giuffrè, Milano, 2004, pag. 172. </font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[3]</span></span></span></span></span> G. Santoro Passatelli, <em>Lavoro parasubordinato, Lavoro</em> <em>coordinato, Lavoro a progetto, </em>in De Luca Tamajo, Rusciano, Zoppoli (a cura di) <em>Mercato del Lavoro – Riforma e vincoli di sistema dalla legge n. 30/2003 al D.Lgs. n. 276/2003, Editoriale Scientifica</em>, Napoli, 2003, pagg. 198-199. </font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[4]</span></span></span></span></span> C. Ogriseg,<em> Primi orientamenti giurisprudenziali in tema di lavoro a progetto, </em>Il Sole24Ore, n.5, maggio 2006. Sul punto Altieri, <em>Dalle collaborazioni coordinate e continuative al lavoro a progetto: cosa cambia nel mercato del lavoro italiano</em> in Pallini, <em>Il “lavoro a progetto” in Italia e in Europa, Bologna, 2006,</em> pag. 93 e 110.</font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[5]</span></span></span></span></span><span>  </span>Vallebona, De Angelis, De Feo, Ghera, Altavilla, in Ogriseg, op. cit. pag. 3.</font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[6]</span></span></span></span></span> De Luca Tamajo, Santoro Passarelli, Bellavista, Lunardon,<span>  </span>in Ogriseg, op. cit. pag. 6. </font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[7]</span></span></span></span></span> Tiraboschi, Maresca, Lunardon, Tartaglione in Ogriseg, op. cit. pag. 4.</font></p><p class="MsoFootnoteText" align="justify"><font color="#000000"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt; font-family: 'Times New Roman'">[8]</span></span></span></span></span> Ichino, Mischione, Perulli, Vallebona, De Luca Tamajo, Pedrazzoli, De Angalis, Altavilla in Ogriseg, op. cit. pag. 4.</font></p> La figura del promotore finanziario tra autonomia e subordinazione 2010-02-05T18:49:36Z 2010-02-05T18:49:36Z https://www.csddl.it/csddl/lavoratori-parasubordinati/la-figura-del-promotore-finanziario-tra-autonomia-e-subordinazione.html di Antonio Belsito info@codexa.it <p align="center"><strong><font style="font-size: 16px" color="#333399"><a href="attachments/358_La%20figura%20del%20promotore%20finanziario.pdf">LA FIGURA DEL PROMOTORE TRA AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE</a></font></strong></p><p align="center"><strong><font style="font-size: 14px" color="#333399">E' proprio un agente di commercio?</font></strong></p><p align="center"><strong><font color="#333333">(da </font></strong><a href="http://www.dirittodeilavori.it/"><strong><font color="#333333">www.dirittodeilavori.it</font></strong></a><strong><font color="#333333">, Anno IV n. 1, gennaio 2010)</font></strong></p> <p align="center"><strong><font style="font-size: 16px" color="#333399"><a href="attachments/358_La%20figura%20del%20promotore%20finanziario.pdf">LA FIGURA DEL PROMOTORE TRA AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE</a></font></strong></p><p align="center"><strong><font style="font-size: 14px" color="#333399">E' proprio un agente di commercio?</font></strong></p><p align="center"><strong><font color="#333333">(da </font></strong><a href="http://www.dirittodeilavori.it/"><strong><font color="#333333">www.dirittodeilavori.it</font></strong></a><strong><font color="#333333">, Anno IV n. 1, gennaio 2010)</font></strong></p>